“Generare amore,
promuovere speranza,
contenere il dolore,
pensare.”
Meltzer e Harris (1983)
I due autori della frase, sembrerà strano, non sono poeti né scrittori, ma sono due psicoanalisti che si sono interrogati su quali fossero le funzioni della coppia.
“Generare amore, promuovere speranza, contenere il dolore, pensare.”
Queste funzioni sono definite introiettive e si siedono accanto alle funzioni biologiche, sessuali, riproduttive, culturali e di accrescimento psicologico e sociale.
Resta però qualcosa di squisitamente inafferrabile circa la nascita di un amore. Qualcosa che spero a lungo possa essere spiegato più dall’arte che dalla scienza.
Ma come avviene la scelta di un partner?
Il processo decisionale che ci permette di scegliere una persona come compagno speciale del nostro viaggio è complesso, reciproco, inconscio per la maggior parte.
Secondo l’ottica psicoanalitica la scelta del partner avviene in due modi: trasformativo o difensivo.
a. Le scelte trasformative sono quelle fatte sulla scorta di relazioni che abbiamo vissuto in età infantile. In tal senso la decisione può essere anaclitica ovvero di appoggio o di sostituzione semplice delle figure genitoriali di attaccamento; poi abbiamo le scelte narcisistiche, ovvero quelle in cui vediamo negli altri una parte di noi stessi.
La scelta sulla base di una delle relazioni significative dell’infanzia (madre o padre) può avvenire per complementarietà, quando scegliamo il partner simile al genitore di sesso opposto, oppure per contrasto, quando le caratteristiche del partner sono del tutto simili a quelle del genitore del nostro stesso sesso.
b. Le scelte di tipo compensatorio sono quelle in cui la preferenza per un partner risiede nel fatto che questi ci possa garantire di mantenere il nostro equilibrio psichico, il nostro ruolo nel mondo, evitando i conflitti interni. In questo tipo di coppie, spesso, il fatto che uno dei due esca dal proprio copione di vita e decida di risolvere i propri conflitti, può condurre alla rottura.
Jacobson (1971) ci spiega come in questo tipo di scelte “il partner è il tramite attraverso il quale si mantiene il proprio equilibrio mentale”, anche quando esso può essere disfunzionale, non appagare, far soffrire.
Può capitare che non ci sia un equilibrio sufficientemente buono tra la fusione con l’altro e la differenziazione dall’altro, cioè di quel processo che permette alle persone di sperimentare ora di essere tutt’uno col partner, ora di essere diversi, di essere alterità che arricchisce.
E da questo movimento che si genera il benessere per la coppia.
Quando vi è uno sbilanciamento verso la fusione, capita che la coppia viva in una sorta di rigidità e prevedibilità che comunemente chiamiamo routine e che, sebbene abbia il vantaggio di renderci il mondo prevedibile, può generare una pericolosa esclusione del mondo e degli altri dalla coppia, perchè percepiti come perturbanti.
Lo sbilanciamento verso la differenziazione genera, invece, la conduzione di vite davvero separate e vissute in un’autonomia avulsa dell’intimità e dalla condivisione.
Allora perché si resta insieme? I motivi in questo caso possono essere davvero molteplici, il più delle volte in questo modo ci confermiamo una convinzione di vita: quella che è meglio stare da soli e risolvere le cose da soli.
Freud (1929) usa un’immagine che mi piace molto:
“Nell’innamoramento l’Io e il Tu sono una cosa sola e sono pronti a comportarsi come se davvero fosse così”
In questa fase l’idealizzazione dell’altro promuove un processo in cui riesco ad accettarne la dipendenza, senza sentirmi soccombere e in cui riesco a lasciar andare convinzioni e abitudini, per la regolazione dei miei tempi e ritmi con quella dei tempi e dei modi dell’altro.
L’innamoramento è per Kernberg “una complessa disposizione affettiva che integra l’eccitamento sessuale, la tenerezza, l’identificazione genitale, una forma matura di idealizzazione e la dedizione ad una relazione oggettuale profonda”.
Queste dinamiche accadono, perché quando nasce una coppia viene a crearsi una nuova entità.
La coppia non è la semplice somma dell’uno più l’altro.
L’Io e Tu genera un terzo elemento nella sua unione: la coppia stessa.
Questo generare un terzo può avere luogo perché esiste uno spazio, uno spazio metafisico, in cui la coppia viene a crearsi e a creare, una specie di pelle dentro la quale la coppia risiede e oltre la quale esiste il mondo esterno.
Questa pelle, proprio come l’epidermide che ci ricopre, è importante che sia sufficientemente permeabile, perché ciò che è esterno possa penetrare, ove necessario.
Penso quanto sia preziosa per una coppia l’esperienza dell’accoglienza, la presenza di un amico, di un’attività, di una passione, la condivisione di ideali e valori.
La pelle ha da essere anche sufficientemente impermeabile, perché gli elementi esterni perturbanti o inutili possano essere protettivamente tenuti fuori, come ad esempio le influenze e intrusioni probabili dalle famiglie di origine.
Questa pelle è bene che sia elastica, perché si possa adattare a tutti i cambiamenti cui, nell’arco della vita, la coppia è soggetta.
Questa membrana, che abbiamo definito come spazio metafisico della coppia, secondo Anzieu (1986) ha funzioni di contenimento, di conservazione, di individuazione e di collegamento verso uno spazio personale condiviso che supporti la carica libidica.
Secondo la psicoanalisi, pertanto, in questo spazio io posso essere tela bianca per l’altro, tela sulla quale egli può proiettare aspetti di sé creativi o angoscianti e che, nella relazione, vengono riconsegnati come decifrabili, ricchi di senso e, quando il miracolo si compie, apportatrici di vita nuova.
… perchè col poeta Antonio De Curtis ciascuno faccia l’esperienza per cui
Stu core analfabeta
te lle purtato a scola
e se mparato a scrivere,
e se mparato a lleggere
sultanto ‘na parola
Ammore e niente cchiù
(Photo courtesy of Davide Salvatore)
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