Sabato mattina raccolgo un po’ di coraggio e chiedo al Vescovo della mia Diocesi, Bruno Forte, di dedicarmi qualche minuto per un’intervista.
Per chi non lo sapesse, Sua Eccellenza Bruno Forte è l’Arcivescovo di Chieti-Vasto, ma è anche un teologo di fama mondiale, benché il suo appellativo preferito sia quello di “padre” del popolo a lui affidato da Giovanni Paolo II.
In quel momento il mio cuore è ancora traboccante di silenzio, consolazione e non so ancora bene cos’altro, in seguito alle immagini del giorno precedente di papa Francesco in una piazza San Pietro vuota.
Nel cuore e nelle orecchie ancora l’eco delle sirene e delle campane.
Le immagini della nostra società. Le sue parole. Il dolore, la preoccupazione. La speranza.
Mi ci vorrà tanto tempo e un lavoro interiore, intimo per elaborare quello che il registratore emotivo sta tracciando.
Quel registratore funziona, funziona bene in questi giorni, i suoi tracciati sintonizzano e sintetizzano paure e attese, le mie e quelle delle persone che a me si affidano come terapeuta. Anche in questi giorni.
Quella registrazione, quella fisica della videochiamata con sua Eccellenza invece non va.
Allora trascrivo il clima del nostro dialogo in questo articolo.
Col sorriso sulle labbra e la disponibilità di un uomo generoso, Padre Bruno Forte ascolta la mia prima domanda.
Io: “In questo momento storico duro e sconvolgente la teologia e la psicologia come possono collaborare per avviare processi di benessere per l’uomo?”
Il vescovo, pacato, mi lascia capire come la fede possa diventare risorsa cui attingere senza fine alla speranza, quella speranza che non delude il credente.
“La psicologia e la teologia oggi rispondono alla paura, legittima, nel cuore dell’uomo. Paura per la sua salute, per i suoi affetti.”
Risponde Sua Eccellenza.
La psicologia lo fa con i suoi mezzi e strumenti e la Chiesa anche. Lo abbiamo visto col discorso del Papa con le immagini forti e struggenti evocate.
“È bene sottolineare che la speranza in senso cristiano ha le caratteristiche della consolazione dello Spirito, perché nasce dalla relazione profonda tra Dio e l’uomo.”
Chiosa il Vescovo.
Allora io: “Così come per la psicologia si parla di psicologia della relazione, si può parlare di una teologia della relazione?”
“La fede è fiducia in un Altro, per questo è relazionalità, la fede è il frutto di quel rapporto che nasce nello scoprirsi figli di un Dio che chiamiamo Padre.”
Risponde Sua Eccellenza.
Considerarci fratelli, significa davvero poter pensare di essere insieme dentro la stessa barca, in quella immagine così forte evocata dal Papa qualche giorno fa. L’eco di quella domanda che sempre sconvolge l’uomo di ogni tempo: “Dov’è tuo fratello?” oggi si fa viva, si fa materia.
Tutti insieme. Ognuno a fare la sua parte. Ognuno e ciascuno.
Mi viene in mente un’ultima domanda, forse la più stupida che io potessi fare, rileggendomi ora, ma poco importa, perché è la risposta che è molto intelligente.
Io: “In che rapporto sono -secondo lei- il concetto psicologico di resilienza e quello teologico di fortezza?”
“La resilienza è la capacità dell’uomo di resistere alle difficoltà, quella a cui siamo chiamati oggi. La resilienza in qualche modo è contenuta nella Fortezza, che può essere considerata, con le doverose distinzioni, il suo corrispettivo come virtù cardinale. Ma ad una condizione: quella di chiarire che la Fortezza aggiunge alla resilienza una profondità nuova, che si rinnova sempre perché deriva dalla Spirito. Infatti, la Fortezza è quella virtù centrata sulla consapevolezza che il sostegno di chi crede viene da Dio, Signore della vita che, vincitore del male, si offre e soccorre sempre chi a lui si affida in ogni possibile prova e tristezza. La Fortezza diventa così espressione di una fede che è che è primo: amare se stessi; secondo: amare Dio e, infine, amare gli altri, i fratelli.”
Conclude Bruno Forte.
Un appello a cui oggi ciascuno di noi è necessario corrisponda.
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