Carezza…
Quando mi passi la mano sulla guancia, tra i capelli, quando segui i tratti del mio viso, il mio profilo, quando lievemente sfiori le mie mani, resto così, in silenzio e da qualche altra parte, in modo del tutto inatteso e incosciente, riaffiorano ricordi antichi di cure nelle culle e giù verso ciò che sono, anche tra le tue mani.
Quando ti passo la mano sulla guancia e sfioro la tua pelle, l’esperienza di te diventa sostanza, carne, vita, storia e sento che lo sai che ti proteggo e che lo farò fino all’ultimo fiato. Quando ti sfioro, sai chi sei e sai chi sono e così ci incontriamo, conosciamo e riconosciamo.
Io, tu e il nostro esserci.
Sono queste le prime parole che mi sono venute da scrivere, pensando alle carezze date e ricevute, pensando a quelle che ancora ho nelle mie mani e a quelle che presto sentirò sulla mia pelle.
Resta però difficile dare una definizione di carezza da un punto di vista psicologico. Non mi basta tutta la teoria che ho approfondito nei miei studi di psicologia, non mi basta Berne e la sua idea di carezza e il suo motto “Senza carezze, non si cammina a petto in fuori”. Non mi basta sapere che per il fondatore dell’Analisi Transazionale la carezza è “un’unità fondamentale dell’azione sociale” e lo scambio di carezze genera transazioni.
Come spesso accade per spiegare dei concetti racchiusi nelle parole la tentazione classicista di andare alle origini delle stesse è forte. Stavolta nemmeno il latino non ci aiuta, perché il semplice esercizio di dell’affetto e dell’amabilità che esso racchiude non è capace di contenere i significati che noi attribuiamo al gesto dell’accarezzare.
L’aspetto davvero interessante è che parliamo di pelle, ovvero di questo sottile strato di tessuto ma anche di confine tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, ciò che sono e ciò che sei.
E come ogni confine esso non espleterebbe in modo accurato il proprio compito se non fosse sufficientemente permeabile, se non fosse sufficientemente impermeabile.
Ed è così che il nostro derma è colonizzato da numerosissimi recettori (i vari corpuscoli) i cui canali (ionici) a una carezza (stimolazione meccanica), liberano il proprio messaggio (potenziale d’azione, appunto) che raggiungendo il midollo spinale, attraverso fili sensibilissimi (assoni fittemente mielinizzati) raggiunge velocemente il cervello (corteccia celebrare) e l’organismo risponde con la produzione di ossitocina, l’ormone del relax.
Tutto questo avviene in modo naturale e rapido, perché noi siamo evolutivamente abituati alle stimolazioni cutanee, basti pensare che durante quasi tutta la nostra permanenza nell’utero materno, attraverso il liquido lì presente o più tardi attraverso il contatto con le pareti uterine siamo stati massaggiati o accarezzati.
Questo ancora non basta per capire l’importanza di una carezza nello sviluppo evolutivo di una persona.
Non mi appaiono sufficienti neanche gli esperimenti di Harlow e delle sue scimmie, di Levine con i topi, gli studi di Spitz circa la carenza di cure e carezze nei bambini degli orfanotrofi.
Tutte queste parole sembrano non riuscire a contenere l’esperienza e i significati generati da due persone che si incontrano nel gesto tenero e ancestrale dell’accarezzarsi.
Non resta pertanto che chiudere questa pagina che stai leggendo e scegliere la prossima persona con cui condividere una carezza.
Darla o riceverla, mi domandi? Poco importa, se ne uscirai comunque rinnovato…
Bibliografia
E. Berne, A che gioco giochiamo, Bompiani, Milano, 2008.
E. Berne, Fare l’amore, Bompiani, Milano, 2016.
I. Stewart, V. Jiones, L’analisi trasazionale, guida alla psicologia dei rapporti umani, Garzanti, Milano, 2000.
Sitografia
http://www.biodanzabologna.it/it/biodanza/articoli-pubblicati?id=100
https://www.unibs.it/sites/default/files/ricerca/allegati/Neuroscienze%20-%20La%20Scienza%20del%20Cervello%20WEB_0.pdf
https://lamenteemeravigliosa.it/anche-le-carezze-curano/
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