Posto che ormai è noto a tutti il primo assioma della comunicazione: “non possiamo non comunicare“, quando una coppia dice “Non comunichiamo più“, chiaramente sta comunicando qualcosa.
Può sembrare paradossale, ma è così.
I modi in cui la coppia si incarta su se stessa nella comunicazione sono diversi e in questa sede ne vedremo alcuni.
- Frequenti litigi che rimpastano motivi per stare male o darsi addosso, ma spesso non sono che pretesto, metafora di bisogni della coppia che non trovano un’altra espressione.
- Non essere autentici, non dire davvero ciò he si prova o si pensa per i motivi più svariati: l’altro non mi capisce, non mi posso fidare, non parlo delle mie cose ecc. ecc.
- Chiudersi nel silenzio e allontanarsi dall’altro, segnando un solco invalicabile.
- Avere ruoli rigidi nella relazione: ad esempio uno dei due è sempre quello che accudisce e l’altro è sempre oggetto di cure.
- Non chiedere attenzioni, anche quando se ne sente un bisogno estremo, perché ricevere una “carezza” su richiesta rende la stessa priva di valore.
Ecco su quest’ultimo punto Berne ha scritto molto e io, in accordo con lui, ritengo che se richiedo un’attenzione l’altro è libero di accogliere o meno la mia richiesta e questa libertà è cifra di genuinità del gesto.
Troppo spesso le coppie si “rovinano” sotto la pretesa che l’altro intuisca il bisogno, la richiesta, che l’altro legga il pensiero o colga un bisogno che noi stessi abbiamo sotterrato tra le pieghe delle nostre paure.
Ecco io penso che un dono che possiamo fare all’altro, a noi stessi e alla coppia sia quello di essere espliciti, di chiedere, di mettere l’altro nella condizione di potersi prendere cura di noi, di lasciarci amare, senza tranelli, senza paure.
Se l’altro conosce i flussi della nostra esistenza, che ne conosca anche i deflussi, se conosce le nostre parole, che possa avere modo di sentire anche i nostri silenzi, se brinda con noi, possa anche piangere con noi.
Nella coppia tutto si rimpasta e diventa altro. Nella coppia e sull’altro è naturale che io proietti le mie paure e angosce più profonde e con esse anche il desiderio di un’autentica intimità possibile, in cui io possa essere amato per come sono e amare come sono e in questa circolarità chiarirmi sempre meglio sulla mia esistenza.
Compito dell’altro, compito reciproco è quello di accogliere le paure e e angosce e restituirle come risolvibili e condivisibili.
Questo non significa che l’altro non ci ferirà, anzi, quanto più l’altro sarà intimo ai nostri giorni, tanto più correremo il rischio di lasciarci ferire. Ma l’idea è quella che la crisi, l’incomprensione, il debacle possono essere apportatori di nuove aperture di senso.
You must be logged in to post a comment Login