Nelle righe che seguono desidero accompagnarti in modo semplice all’interno di una teoria e di un metodo che trovo davvero utili.
Questo articolo ti può interessare se sei uno psicoterapeuta, ma anche se sei in terapia o se semplicemente ti interessa la psicoterapia.
L’approccio sviluppato da Lorna Smith Benjamin si appoggia su una solida teoria. Sviluppa infatti il lavoro di Bowlby su quanto le relazioni con le prime figure di attaccamento (madre e padre il più delle volte) generino dei modelli che ispirano e orientano tutta la nostra successiva vita relazionale (in questo video la prof.ssa Maria Spinelli spiega come).
Il collegamento tra come agiva tuo padre o tua madre e come oggi ti muovi nel mondo e nelle relazioni viene sostenuto dal fatto che tu, come ciascuno di noi, desideri mantenere viva quella relazione così fondamentale e ottenere dalla figura di riferimento principale accoglienza, perdono, presenza.
Questa fedeltà a quanto appreso nelle relazioni fondamentali in età infantile viene chiamata dalla stessa Benjamin dono d’amore. Tale definizione testimonia il fatto che alla base del mantenimento di processi anche disfunzionali vi sia l’importanza di quella relazione con l’oggetto ancestrale della nostra esistenza che ci garantiva relazionalità e con essa la sopravvivenza. Essa quindi è una sorta di gratitudine dolorosa verso chi ci ha cresciuto, anche se alle volte ferito in profondità.
Tutta questa dinamica è resa possibile grazie ai processi di copia, ovvero a delle modalità per lo più automatiche o inconsce riassumibili in tre frasi:
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devi essere come lui/lei;
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agisci come se lei/lui fosse ancora qui e avesse il controllo;
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tratta te stesso come faceva lui/lei.
Nella prima situazione, “devi essere come lui/lei“, sono raccolti quei processi in cui l’identificazione con la persona di riferimento è piena, ad esempio quando ti sorprendi a comportarti con gli altri esattamente come faceva tua madre o tuo padre.
Nella seconda situazione, “agisci come se lei/lui fosse ancora qui e avesse il controllo“, tu continui a compiacere quel Genitore ormai interiorizzato e a muoverti proprio come facevi da piccolo quando ti adattavi o ti ribellavi al tuo caregiver.
Nella terza situazione, “tratta te stesso come faceva lui/lei“, continui tu a trattare te stesso esattamente come faceva tua madre, ad esempio se hai avuto una madre ipercritica, può essere molto probabile che oggi sei tu stesso che muovi critiche verso di te.
Questi processi possono il più delle volte generare frustrazione, dolore, disfunzionalità. Il fatto che, nonostante siano disadattivi, noi perpetriamo questi atteggiamenti verso di noi e verso il mondo, testimonia, dal mio punto di vista, l’importanza delle prime figure di riferimento.
La psicoterapia, nel modo in cui la intendo io, lavora su queste relazioni antiche e sempre attuali, individuando i processi che sono alla base delle sofferenze, ascoltandone il messaggio, aprendo quel dono d’amore e dando parole e immagini ad esso, perché avvenga una liberazione dei bisogni che vi sono alla base, offrendo un senso e una nuova possibilità di soddisfarli.
Quando tali bisogni non possono più essere esauditi, penso ad esempio al desiderio di un dialogo più libero e autentico con un genitore che non c’è più, la terapia ne aiuta a liberare il lutto, il dolore, la perdita e costruisce le basi perché vi sia una rappacificazione o perdono con quella figura di riferimento.
Quel bisogno di amore incondizionato e imperturbabile potrà pertanto essere superato o elaborato.
Nella mia esperienza in un percorso di questo tipo avviene una liberazione di energia psichica sotto forma di creatività che agevola nel mantenere un contatto nuovo con se stessi e con quel Genitore Interiorizzato.
In tal modo ciò che sembra ripetersi più e più volte nelle relazioni (abbandoni, tradimenti, senso di solitudine) può divenire trattabile, condurre verso una autentica intimità con gli altri fatta di libertà e spontaneità.
In questi anni di clinica ho visto numerose persone ripartire da se stesse, dalla propria storia, le ho viste sbocciare, godere, accogliendo il dolore o la frustrazione come cifra di una vita abitata in ogni suo aspetto.
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