Una buona premessa se vogliamo addentrarci nel tema dei permessi è quella di parlare di fame, in senso berniano.
Berne, il fondatore e padre dell’analisi transazionale, ci parla di fame di stimolo, fame di struttura e fame di riconoscimento sociale, come quei bisogni imprescindibili con i quali -insieme con i bisogni fisiologici- arriviamo al mondo.
Ovvero abbiamo una biologica tendenza a cercare e ricevere l’iniziativa (stimolo), un modo di organizzarci il tempo e lo spazio (struttura) e il bisogno di stare in relazione (riconoscimento sociale).
Allo stesso tempo Erskine ci parla di bisogni relazionali tra i quali quelli di condivisione, sicurezza, validazione, dipendenza buona, ricevere l’iniziativa, impattare, autodefinirsi esprimere amore.
Ecco quindi che in sintesi ci sono dei permessi sempre buoni da offrire e offrirsi, soprattutto.
Il permesso di esistere, di appartenere a questo mondo, a questa vita, ad esso si lega un secondo permesso: quello di essere se stessi. Non copie o immagini compiacenti di altri, ma noi con le nostre fragilità e le nostre meraviglie.
Il permesso di dare e ricevere amore. Conosco molte persone che offrono attenzioni e amore senza permettere all’altro di ricambiare, persone sfuggenti, persone di corsa. Altre lì pronte a chiedere, ma che lasciano l’impressione che nulla di te le tocchi. Imparare a dare e a ricevere è un’arte.
Un altro permesso è quello di fallire, chi vive nel mito del perfezionismo, lo sa che il fallimento non è ammesso.
Un permesso altresì importante e del quale mi sono più volte occupata in questo blog è il permesso di vincere, di riuscire, di realizzarsi.
Può capitare che impariamo che la nostra realizzazione possa fare male a qualcuno, che rispondiamo precocemente ad un “non essere importante” ancestrale. In questi casi pensare di realizzarsi è un po’ come sentire di stare a tradire qualcosa, qualcuno, di stare a fare un’azione non bella. Così offrirsi la possibilità di riuscire è far tornare aria nei polmoni della propria esistenza è sapere di poter far girare il proprio motore al suo ritmo, è offrire alla società il talento di noi stessi.
Il permesso di godere, di stare con le cose che ci danno piacere, sviando il pericolo di vivere un’esistenza votata solo alla disciplina austera, all’esercizio di una rigidità fine a se stesse.
Il permesso di crescere, evolversi, cambiare e muoversi, di non restare sempre uguali a se stessi per non sconvolgere troppo gli equilibri, perché tanto “ho sempre fatto così”, in virtù di una coerenza ingabbiante.
Il permesso di crescere, evolvere, cambiare…
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