In questo periodo di zucche alle finestre, maschere da zombie ma anche di visite nei cimiteri e celebrazioni dei santi e dei morti, la mia riflessione si attarda sulla delicata, ancestrale e profonda domanda che riguarda la vita: la morte.
Con l’augurio di muovere i miei passi in modo delicato, senza scivolare nello spirituale o nel filosofico, provo a tracciare le implicazioni che esse hanno nella riflessione clinica e teorica per noi psicologi o per lo meno per me, come psicologa e psicoterapeuta.
Quindi mi focalizzerò non tanto sul perché della morte, ma sul come della morte. Per sottolineare l’importanza culturale di questi due aspetti, della vita e della morte, ti ricordo qualche nome con cui da sempre la Mitologia che ha provato a spiegarle e raccontarle: Iside e Osiride, le Moire, Caronte, le Parche, Thanatos e così via.
È davvero interessante ma anche utile pensare la stessa accanto alla vita o, come direbbe Giacomo Leopardi, all’amore:
Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte
ingenerò la sorte.
Cose quaggiù sì belle
altre il mondo non ha, non han le stelle.
(…)
Da Amore e Morte, Ciclo di Aspasia, 1832-1833
Nel 1920, circa 20 anni dopo la pubblicazione del testo destinato a cambiare il pensiero dell’uomo in senso ontologico, L’interpretazione dei Sogni, Freud pubblica Al di là del principio del piacere. Con esso il padre della psicoanalisi offre una sistemazione teorica alle già postulate Pulsioni di Vita e Pulsione di Morte. Tale riflessione certamente è legata alla fase di vita di Freud: in quell’anno muore sua figlia Sophie, che lascia anche orfani i suoi nipotini e un suo amico (Anton von Freund). Siamo in un clima culturale e sviluppo filogenetico che vede l’Europa e il mondo alla vigilia di uno dei più grandi scempi della storia dell’umanità: il Nazismo e la follia dell’Olocausto.
È pertanto in questo contesto che Freud postula la Pulsione di Morte accanto al principio del piacere e della sua ricerca come motore di ogni atto umano (da lui identificate nelle pulsioni dell’Io e nelle pulsioni sessuali). In questo modo egli compie un atto di straordinaria rivoluzione, poichè associa alla morte abitudini o comportamenti tipici della psiche umana, come per la coazione a ripetere atti del passato tipica delle nevrosi traumatiche, le traslazioni, le stereotipie, gli atti mancati.
Per Freud la pulsione di vita, invece, è quell’insieme di energie psichiche tese a condurci verso l’unità, quella di morte, al contrario, sono quelle energie che ci mandano verso la disintegrazione. Egli le pone in una visione dualista.
Come tradurre tutto questo in un linguaggio attuale e fruibile?
Superato quel dualismo, ecco che possiamo integrare le due visioni. Così ti voglio chiamare Pulsione di vita la gioia dell’esistenza, la ricerca del piacere, il desiderio di crescere, conoscere e accrescersi, la propensione alla gratitudine, alla socialità, ma anche alla riservatezza. Vita è guardarsi dentro e lasciarsi stupire, guardare fuori e lasciarsi stupire.
Morte è quell’ansia del domani, l’angoscia di un’incertezza, la paura di morire, proprie dei Disturbi d’Ansia, ma anche il desiderio di morire, l’attrazione per la morte proprio degli stati depressivi. Morte è la frammentazione delle psicosi.
Allora alle volte sul palcoscenico dei racconti dipanati dai miei pazienti Amore e Morte guerreggiano o fanno l’amore: l’una chiama, l’altra risponde, l’una seduce, l’altra impazzisce.
Io trovo che esse, per quella strana proprietà appartenente a tutti gli opposti, siano davvero vicine, si tocchino, si somiglino non per qualità, ovviamente.
Ecco allora ciò che ho imparato: nel tessere il racconto della mia vita e nell’aiutare i pazienti a tessere il proprio, anche la morte ci deve entrare. Sì, ci deve, uso il normativo in questo caso -non è mia abitudine- perché credo di stare a rispondere a un’esigenza atavica: quella di tenere insieme, ma dentro dei confini, gli opposti.
Inserire la Morte nella relazione terapeutica significa preparare ai saluti, ai lutti, alla caducità, alle sconfitte, alle frustrazioni, alle delusioni. Ed è straordinario ammirare come tutto questo prepari alla Vita e all’Amore, perché educa al sacrificio, al rispetto dei confini, al gusto della vittoria o di un gelato condiviso con chi amo, educa al tenere d’occhio il Tempo e non gli orologi, ad alzare lo sguardo, educa all’incanto, all’inclusione, alla protezione, al non rimandare le carezze che ci prudono nelle mani. Educa a quell’urgenza, cui siamo biologicamente predisposti, quella di amare e di stare in relazione.
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