Esiste un modo di dire “ama tutto ciò su cui si posa il tuo sguardo“.
In qualche modo io credo che il processo sia contrario.
Solo se tu posi il tuo sguardo sei in grado di amare, ovvero di entrare in relazione.
Osservare è un’azione scientifica, della scienza qualitativa e poi quantitativa. Il modo di osservare di un clinico non parte dalla pretesa di neutralità e di non intervento su fenomeno.
Come clinico io so che se osservo, ad esempio, il bambino che viene nel mio studio o sul quale devo rivolgere un intervento in un gruppo, io divento parte del processo che osservo e con questo catalizzatore di un cambiamento.
Devo stare sufficientemente vicino per sentire con gli occhi e registrare con la pancia.
Devo stare sufficientemente lontano per monitorare come la mia presenza sposti alcune variabili.
L’osservazione naturalistica e quella partecipata sono parte del processo terapeutico, parte di ciascun intervento clinico.
Annoto sul registro delle emozioni, prima che sul notebook e sento che tipo di relazione si va creando tra me e l’oggetto.
Diventiamo così due soggetti, entrambi portatori di una storia in cui gli aspetti narrativi e quelli biologici si fondono, confondono ed emergono.
Mi piace osservare, sostare, guardare, sentire, approfondire, annotare e stare in contatto.
La condivisione è questa, condividere poi l’interesse verso un oggetto o un’esperienza è un’azione successiva.
Ad ogni persona che osservo mi è più chiara la lente con cui guardo.
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