Spesso i pazienti o i curiosi si chiedono: “Ma come fa un* psicolog* o terapeut* a reggere tutte le storie e i drammi che gli vengono raccontati?”*
La risposta non è semplice. È naturale che uno psicolog* o un* terapeut* possa sentire “roba sua” durante le sedute o continuare a riflettere su un paziente anche nei giorni liberi. Questo non è di per sé sbagliato. Ciò che conta è il livello di consapevolezza con cui si percepiscono e si elaborano queste dinamiche, riflettendo su sé stessi, sul paziente e sulla relazione terapeutica.
Come mi ripete spesso il mio supervisore e mentore, Massimo Giuliani:
“Non avere una propria epistemologia significa avere una cattiva epistemologia”,
ovvero non porsi domande su quali premesse guidano l’azione clinica in ogni fase, rende la stessa azione soggetta a fallacia tecnica e teorica.
Controtransfert: reattivo e proattivo
Infatti, le reazioni emotive del/dei terapeut* durante la terapia rientrano nel concetto di controtransfert:
- Reattivo: nasce dai vissuti, emozioni o schemi personali del/dei terapeut*. In questo caso, le reazioni emotive sono influenzate principalmente dalle esperienze e dai modelli interiori del professionista, e possono emergere spontaneamente durante la seduta.
- Proattivo: si genera in relazione alla storia e alle dinamiche del/dei paziente. Qui il/la terapeut* reagisce alle proiezioni, ai bisogni o ai modelli relazionali del paziente, utilizzando la propria sensibilità e competenza per comprendere e supportare la persona in terapia.
Riconoscere e lavorare su entrambi i tipi di controtransfert è fondamentale per condurre le sedute in modo consapevole, equilibrato ed eticamente solido, trasformando le proprie reazioni in strumenti utili per la relazione terapeutica.
La supervisione: uno spazio di crescita
La supervisione, pertanto, diventa il contesto in cui il/la terapeut* può riflettere sulle proprie reazioni emotive, discutere casi clinici, approfondire tecniche e integrare conoscenze teoriche. È uno spazio fondamentale per sviluppare consapevolezza relazionale, ascolto attento e capacità di osservazione critica.
Perché è importante:
- Consolida competenze teoriche e pratiche;
- offre supporto emotivo in uno spazio sicuro;
- migliora la qualità del servizio offerto ai pazienti;
- sostiene il rispetto dei confini e della responsabilità professionale.
Fasi del percorso di supervisione
- Iniziale: sostegno pratico e accompagnamento alla consapevolezza delle proprie reazioni.
- Intermedia: definizione dello stile personale, integrazione di competenze, riflessione sul controtransfert.
- Avanzata: consolidamento dell’autonomia, confronto riflessivo con il supervisore, sviluppo di decisioni consapevoli.
Il gruppo di supervisione
In qualità di psicologa clinica e dello sport, psicoterapeuta ad indirizzo analitico-transazionale, supervisora e didatta in formazione con l’EATA (European Association for Transactional Analysis), nel mio gruppo di supervisione applico un metodo contrattuale, con regole condivise e modalità di confronto definite insieme, per creare un clima sicuro e stimolante. Il gruppo è uno spazio per:
- Rafforzare la propria identità professionale;
- sviluppare capacità di osservazione e sintonizzazione emotiva;
- confrontarsi su approcci teorici, casi clinici e tecniche pratiche;
- riflettere su dinamiche etiche e relazionali;
- integrare modelli diversi e condividere responsabilità.
Ogni partecipante viene accolto tramite un colloquio individuale, per definire insieme le aspettative e le esigenze professionali, così da garantire un percorso di supervisione efficace e mirato.
Conclusione
Se sei un* collega, ti invito a prenderti uno spazio di questo tipo, dovunque tu possa farne un’esperienza autentica, piena, utile, perché offrire protezione a sé stessi è un gesto doveroso di cura verso sé, tutela della professione e sostegno autentico verso chi a te si affida.
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