Considero la supervisione al contempo una relazione e un processo di apprendimento reciproco, in cui è necessario tenere presenti tre rapporti, ovvero quello tra supervisore-supervisionato, tra terapeuta-cliente e tra supervisore-cliente.
È opportuno e fondamentale che il supervisore consideri tutte e tre le relazioni, ovviamente, a beneficio del supervisionato e, a ricaduta, della persona che si trova nel processo terapeutico.
Dal mio punto di vista è importante che il supervisore sia in grado di creare un clima relazionale che faciliti l’esperienza di apprendimento, in cui vi sia particolare attenzione alla costruzione di un’alleanza sufficientemente buona: penso che il supervisore debba farsi ambiente in cui è possibile offrirsi ed offrire molti permessi e in cui i principi di okness fondanti della filosofia dell’Analisi Transazionale possano essere pienamente espressi e, oserei dire, incarnati.
A tal proposito è importante che il supervisore, in accordo con quanto riportato da Tosi (in Mastromarino 2007), tenga presente che il supervisionato può essere mosso dal bisogno di approvazione, dal senso di dipendenza, da sentimenti di colpa per l’errore, dalla vergogna per il giudizio e dalla paura di perdere l’amore dell’altro che può condurre fino alle derive della frantumazione.
In tal senso il supervisore deve farsi un’idea della personalità dell’altro, offrendo feedback calibrati. Egli dev’essere consapevole che in quella relazione è anche modello, a tal proposito può utilizzare con razionalità la self-disclosure sui propri errori, in modo da empatizzare con la paura del collega, mostrandosi così solidale, comprensivo, costruttivo.
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