L’uomo è un animale sociale (e politico) e a dirlo, prima delle scoperte neuroscientifiche avvenute tra il 1980 e 1990, fu Aristotele circa 350 anni prima di Cristo.
La scoperta a cui mi riferisco è quella dei neuroni specchio. Essi altro non sono che neuroni specializzati nell’imitazione dei comportamenti, già attivi nelle primissime fasi di vita, che permetterebbero, anzi permettono, a madre e figlio, ad esempio, di guardarsi e copiarsi, così, come ad uno specchio.
Da quelle primordiali routine nascono le protoconversazioni in cui la coppia madre (o padre o caregiver) e bambino iniziano a dare significati.
Quelle buffe facce caricaturali conservano una matrice di apprendimento senza la quale ciascuno di noi sarebbe un po’ carente nella grammatica della socialità.
Possiamo altresì affermare che non è la mera imitazione che ci rende sociali. C’è altro.
Quel corrispondere in modo sintonizzato alle comunicazioni del bambino presuppone, infatti, la capacità da parte di chi se ne prende cura, di offrire significato, ampliarne la comprensibilità e comunicatività… in altre parole una persona che si prende cura di un cucciolo di uomo, gli riconsegna il suo vissuto arricchito, amplificato, denso di una novità da egli stesso generata.
Così oggi con Stern possiamo parlare di attunement, ovvero di sintonizzazione attraverso cui “i sentimenti di una persona possono rivelarsi a un’altra persona , ed entrambi possono sentire, senza avvalersi del linguaggio, che lo scambio è avvenuto“.
Una magia, insomma, quella che va un gradino oltre l’empatia, perchè è la capacità non solo di riconoscere l’altro ma anche di riconoscerci nell’altro, dando un valore nuovo e unico a quel sentire che va alle basi dell’esistenza umana, in quel nucleo, dove l’Io-Tu offre una culla ad un senso del Sè coerente.
Ma oggi che sono adulto, come mi può essere utile tutto questo?
Consapevolizzare ciò che metti nella comunicazione, da dove parti, e se e come l’altro arricchisce quella tua narrazione, ravviva il tuo vissuto, ti illumina gli angoli bui del tuo percepito ed è un servizio che certamente migliora la vita.
Talvolta in questo modo ci aiutiamo ad uscire dalle impasse delle relazioni.
Esso è anche un esercizio, un tirocinio che dura, più o meno, tutta la vita.
A me che di mestiere entro in relazione, tenere a mente tutto questo serve, in quella continua ricerca di un canale comunicativo, di una tonalità sul quale comporre nuovi o antichi pezzi, per entrare in contatto, così come sono, con quello che so e con quello che non so, e restituire all’altro al contempo una parte di sè: bella e drammatica, tenera e controversa, dolorosa e straordinaria insieme.
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