Con Maslow abbiamo imparato a immaginarci i nostri bisogni in una gerarchia, secondo lo schema seguente.
E così ci siamo abituati all’idea che ci fosse una graduatoria di bisogni e che nella costruzione sicura di sè qualcosa venisse prima di qualcos’altro.
Tuttavia nel tempo, approfondendo la pratica clinica e con essa la riflessione teorica ed epistemologica, ho maturato l’idea che questo schema fosse un po’ diverso.
Io immagino una circolarità in cui con il cibo, e questo come psicologi lo sappiamo bene, passano il senso di sicurezza, di appartenenza, di cura.
Allora questi bisogni sono, come mi ha insegnato Stefano Morena in un momento di formazione, come le vitamine. Abbiamo bisogno di tutto per crescere in senso armonico.
Un prima o un dopo non esistono e, se esistono, è unicamente per renderci la possibilità di una rappresentazione mentale fruibile.
Pensare in modo complesso i nostri bisogni significa dare loro una dimensionalità ipertestuale nuova.
Pensarli in modo modulare significa rappresentarci la persona capace di abitare in dimensioni diverse contestualmente.
Questo comporta assumerci il rischio di stare nell’incertezza, perchè non possiamo conoscere esattamente tutte le forze che tengono insieme un sistema.
Non possiamo eliminare l’incertezza, perché non possiamo conoscere con perfetta precisione tutte le interazioni di un sistema, soprattutto quando questo è molto complesso. (E. Morin, Insegnare a vivere)
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