Vincere o perdere questo è il dilemma con cui spesso un atleta entra nel mio studio.
Dentro questi due poli ci sono significati esistenziali enormi.
Lo sport è una metafora di vita semplificata: si vince o si perde e, dove ammesso, il pareggio è una sitazione transitoria.
La vita è più complessa e il percorso di un atleta io lo penso come il percorso di un uomo o di una donna dentro una narrazione più ampia, dove quello che si è imparato ed esperito nelle relazioni è importante tanto quanto quello che accade nell’espletamento del gesto atletico.
Allora vincere o perdere diventano concetti più ampi e raccontano di possibilità e permessi, capacità di leggere se stesso e di accogliersi per quella gara non andata bene o accogliere anche quella in cui il rendimento è stato elegante, alto, sorpaffino.
Berne a tal proposito raccoglie questi argomenti in una frase lapidaria
“Il perdente non sa cosa farà se perde, ma parla di cosa farà se vince, e chi vince non parla di cosa farà se vince, anche se sa cosa farà se perderà”.
Il punto sembra proprio essere questo: la capacità di riorganizzarsi, di rileggere la propria storia, di non abdicare al gusto del divertimento.
Educarsi a perdere.
Educarsi a vincere.
Richiedono quel tempo e quell’approccio con se stessi aperto, libero, accogliente.
You must be logged in to post a comment Login