Flow deriva dall’inglese e significa flusso. Il termine indica l’esperienza, nel caso di atleti, di quella trance agonistica di cui i campioni sono i testimoni tangibili.
Ovvero è il momento in cui la persona è completamente assorta nell’azione che sta portando con consapevolezza, piacere e senso di efficacia avanti, incurante del tempo, di se stessa, della fatica. Un’azione di cui si sente padrone, in cui sa che può riuscire.
Il termine è stato coniato da un grande della psicologia positiva: Mihaly Csíkszentmihályi.
Io lo chiamo anche momento di grazia e trovo che sia sperimentabile da tutti, nel momento in cui ci imbattiamo in un’attività che ci corrisponda.
Ovvero in un’attività in cui ci sentiamo sufficientemente capaci, che si piace tantissimo, che assorbe la nostra energia psichica, che ci permette un grado di controllo e di creatività allo stesso tempo.
Per ottenere questo momento è necessario, spessissimo, un lavoro sulla nostra persona teso ad ammorbidire le nostre parti critiche per dare spazio a quelle creative. Un lavoro teso a leggere nella regola e nella disciplina quel pentagramma necessario sul quale comporre la nostra sinfonia; o, per dirla in senso sportivo, imparare che le regole del nostro sport e i confini del campo o del tappeto su cui esso si dipana diventano nostri alleati e ci permettono di stare in un contatto buono con noi stessi in cui possiamo sperimentare l’efficacia di un’esperienza autotelica.
La bellezza del gesto atletico, la bellezza di una creazione. Ecco per me lo stato di flow ha anche questi risvolti estetici, etici, politici, quando trasmettono a chi lo compie e a chi vede compiersi un flusso del genere un nuovo modo di sentirsi in armonia con sè, con gli altri e col mondo.
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