Esiste un rischio a cui spesso noi psicologi non siamo abituati a pensare: quello di diventare parte del problema del paziente.
I vari approcci chiamano questo rischio in modo diverso: collusione, proiezione controtransferale agita, agito del terapeuta, rischio iatrogeno.
In verità – ne parlavamo ieri il mio supervisore ed io – dovremmo più spesso domandarci cosa significhi Primum non nocere.
Ti dirò la mia.
Per me questo principio significa innanzitutto aver fatto una formazione buona, in cui è possibile fare l’esperienza di affidarsi e anche di criticare allo stesso tempo.
C’è un fatto comune forse a tanti psicoterapeuti: quello di amare e odiare allo stesso modo il proprio modello.
Mi spiego: ne ami la capacità che il modello ha di darti una rappresentazione della realtà vicina alla tua sensibilità.
Come sappiamo, però, ogni rappresentazione ha un limite: quello di essere una rappresentazione.
Cioè di chiudere un’esperienza, un incontro, una storia, una vita, una dinamica, dentro un margine che spesso non può essere che un limite.
Sentirne la frustrazione significa non identificarsi completamente nel modello, ma avere quella sicurezza che ne permette il distacco e la critica.
La stessa dinamica dovrebbe valere per la relazione terapeutica: appassionarsi a quello che si fa e distanziarsene per vederne meglio i contorni.
Ricordo quando la Santarelli, la mia prof del V Ginnasio, mi disse: “Francesca, tu scrivi, ma non innamorarti di quello che scrivi“.
Lei voleva consigliarmi che la piacevolezza nel mettere i miei pensieri nero su bianco, non avrebbe dovuto avere la meglio sull’estetica di quello che andavo comunicando e, l’estetica – si sa- è fatta di regole, prima che di gusto, di proporzioni, prima che di genialità, di studio prima ancora che di ribellione.
Nella psicoterapia – considerata come un atto etico da chi scrive – mantenere la lucidità sui processi intrapsichici e su quelli interpersonali rappresenta la possibilità di avere quel senso di proporzione e critica, di tecnica e genialità, di base teorica e creatività.
Questo processo si impara dalla vita, innanzitutto, ma poi dallo studio, dalla riflessione, dalla propria terapia personale, dalla supervisione.
Un augurio di mantenere questa posizione etica, estetica e felice a tutti i terapeuti, me per prima!
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