Semi definisce il primo colloquio come una “sineddoche imperfetta”, ovvero quel gioco di attribuzione di significati per cui si nomina la parte per indicare il tutto o il tutto per indicare una parte.
Io trovo altresì che talvolta il primo colloquio sia anche una metonimia perfetta. Cioè quel modo che diamo alla relazione che sta nascendo di rappresentare l’effetto, tacendo ma allo stesso tempo palesando la causa.
Saper leggere dentro questi aspetti ci conferisce la capacità anche di comprendere, come accennavamo qualche articolo fa, se siamo noi coloro i quali dovranno prendersi cura della persona che è davanti a noi.
Ormai con naturalezza, alla fine di un primo colloquio, mi attardo a pensare e spesso a scrivere circa l’idea che mi sto facendo della persona, attraverso riassunto sulla storia sua e, come spesso accade, ciò che manca al racconto dice della relazione che si va creando molto di più di ciò che c’è.
- Com’è la storia che mi è stata appena raccontata? Da dove comincia?
- Come sono i nessi e le congiunzioni che il paziente utilizza (avversative, causali, eccetera)?
- Come compone le frasi quest’uomo o questa donna?
- Com’è il suo eloquio?
- Che immagini mi restano?
- Che idea mi faccio, riferendomi soprattutto il modello teorico che utilizzo di più?
- Quali sono i punti in cui sento di poter entrare? Quali quelli in cui desidero entrare? Quali quelli che mi sono chiusi?
Ricordo con tenerezza l’incontro con un giovane uomo dalla vita molto complessa, sposato da 3 anni, con 2 figli. Lavorava in banca e si occupava di investimenti. Prestò molta attenzione nel raccontarmi quella relazione familiare perfetta. Nel suo racconto la totale assenza di spazi per se stesso, la richiesta implicita ed esplicita da parte di sua moglie di non frequentare i suoi familiari, la cura di quasi tuti gli aspetti pratici della vita familiare delegata unicamente a lui, mi parlavano della sua grande fatica. Una fatica che lui non coglieva ancora. Non al primo colloquio. Sentivo che in quel nucleo di fragilità ci saremmo potuti entrare, ma un passo alla volta.
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