In questo articolo desidero approfondire l’approccio su cui mi sono formata maggiormente: l’Analisi Transazionale (A.T.), e farlo in modo più compiuto, rispetto a come ho fatto in altre occasioni su questo blog, .
L’Analisi Transazionale è un modello forte, perché permette una molteplicità di letture.
Con la sua fortunata e scopiazzata (cfr. SCHEMA Therapy esplosi nello scorso decennio) metafora del Genitore, Adulto e Bambino, Berne ha operazionalizzato quei concetti di Super-Io, Io ed Es così rivoluzionari nella seconda topica freudiana.
L’immagine immediata di queste tre istanze non è semplicistica (tutt’altro!) e rende possibile una comunicazione efficace anche con i non addetti ai lavori. Questo, è vero, ha messo alcune persone che a vario titolo si occupano di formazione, nella condizione di utilizzare l’impianto teorico berniano e di banalizzarlo, come bene analizza il collega Christian Giordano in questo articolo “Abuso dell’analisi transazionale?“.
Spiegare le cose in modo semplice è un’arte complessa, possibile laddove il Bambino Libero si diverte, gioca, sperimenta e sente, dove il Genitore guida e protegge e dove l’Adulto fa la sintesi, tra le idee e la realtà, attraverso quel mezzo che è la parola che permette questa concretezza.
Berne lo ha fatto con straordinaria chiarezza, una chiarezza quasi disarmante, che va compresa, contemplata, accolta, padroneggiandone le luci e le ombre.
La teoria analitico-transazionale genera un modello che ha molte letture e applicazioni nella stanza di terapia, da quella più cognitiva o socio-cognitiva a quella più fenomenologica e dinamica, a quella propriamente analitica . Questo consente al terapeuta che la conosce di utilizzare tecniche diverse ma anche di fare un piano di trattamento integrato. Il terapeuta ben formato avrà utili strumenti per incontrare nella propria stanza anche i bambini e gli adolescenti.
Essa si presenta anche come modello efficace di comunicazione, con l’analisi delle transazioni, ovvero delle unità di base del nostro comunicare. Ciò permette a questo modello di prestarsi nell’analisi di gruppi e comunità, e per la lettura di dinamiche familiari e sociali.
Il modello offerto dall’A.T. è un modello di diagnosi sia strutturale sia funzionale.
É un modello che, attraverso al strutturazione del tempo e dei giochi psicologici, ci aiuta a comprendere il nostro modo di stare al mondo e di consapevolizzare come otteniamo riconoscimento, affetto, considerazione.
É un modello ontogenetico, quando si parla di copione ma anche epigenetico se pensiamo al concetto di epicopione e ai contributi della English e della Romanini.
É un modello esistenziale, quando con i propri assunti epistemologici pone tutti in una possibile posizione di benessere e accoglienza di sé e dell’altro.
Questo aspetto, dal mio punto di vista, lo rende un modello politico, nel senso più alto del termine, cioè proprio della polis, che serve alla cittadinanza attiva, quando ci educa all’integrazione personale e alla possibilità di stare in modo intimo e autentico con gli altri, senza rinunciare alla propria espressione personale e senza aspettarci che l’altro senta, pensi o si comporti come noi desideriamo.
Perché, come ci ricorda lo stesso Berne:
“Ciascuna persona disegna la sua propria vita, la libertà gli dà il potere di eseguire i suoi propri progetti, e il potere dà la libertà di interferire con i progetti degli altri”.
… e questa interferenza può essere liberante e gioiosa.
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