Quando saremo due saremo veglia e sonno
affonderemo nella stessa polpa
come il dente di latte e il suo secondo,
saremo due come sono le acque, le dolci e le salate,
come i cieli, del giorno e della notte,
due come sono i piedi, gli occhi, i reni,
come i tempi del battito
i colpi del respiro.
da “Due” di Erri De Luca
Due, come i tempi del battito, come il battere e il levare, nella stessa relazione, a mio avviso, stanno le parole e il silenzio.
Perché se è vero che
scegliere le parole è un gesto di ospitalità verso se stessi, verso l’altro e verso i nostri mondi possibili,
è altresì vero che scegliere le pause e i silenzi, saperli accogliere e “interpretare” è parte stessa di quest’arte.
Cos’è il silenzio in terapia?
Gli psicoanalisti di prima generazione si sono a lungo attardati sulla riflessione in merito e la loro lettura atteneva al concetto di resistenza.
Ma il silenzio, come le parole, può avere molteplici significati, oggi lo sappiamo.
Io mi sento di dire con Winnicott che:
«Un periodo di silenzio può essere il contributo più positivo che il paziente può offrire».
Nel silenzio l’anima può condividere e creare. Il silenzio è spazio di amabile frustrazione, quella in cui interrompiamo i nostri rumori e ci mettiamo in discussione.
Farlo davanti ad un altro, davanti al terapeuta, può significare l’aver recuperato uno spazio di spontaneità abitabile, poiché togliendo all’anima stessa gli abiti delle parole e le permettiamo di sostare nuda, com’è.
Accogliere questo tipo di silenzio, da parte del terapeuta, significa possedere in primis in se stessi la capacità di stare nudi e senza vergogne.
Questo tipo di silenzio in terapia è pepita d’oro che va cercata, senza tuttavia l’affanno del cercatore.
Ricordo con commozione quando Vincenzo, un sacerdote di 47 anni, docente di Filosofia, mi raccontò della malattia di suo padre, di come morì sotto i suoi occhi e del senso di responsabilità e confusione nel quale precipitò. Aveva solo 13 anni ed era il primo di quattro figli.
I suoi occhi si fecero grandi e spaventati proprio come quelli di un ragazzino di 13 anni. Continuava a raccontarmi tutto, usava molte parole, parlava da uomo di fede, un uomo con gli occhi di un bambino, un uomo con risposte di fede consolanti, con gli occhi di un bambino. Lo ascoltai in silenzio, qualche lacrima mi solcò il viso. Partecipai composta a quel lutto che si stava di nuovo consumando sotto i miei occhi.
Ad un tratto Vincenzo si fermò, cessò di parlare. Ci guardammo in silenzio non so per quanto tempo.
Avrei voluto dirgli che avrei ascoltato volentieri le angosce di quel ragazzino e per farlo scelsi il silenzio.
Forse in quel silenzio abbiamo vegliato suo padre e con lui l’idea di una giovinezza scivolata via, tra le pieghe di quel grande dolore.
In quel silenzio Vincenzo si è fermato. Si è guardato e si è lasciato guardare.
La terapia durò ancora poche altre sedute, nelle quali appresi che il paziente si era dato il permesso di riprendersi spazi di piacere per sè: ricominciò a suonare il pianoforte.
Lo immagino suonare, dando alle note e alle pause tra di loro lo stesso valore.
Io anche con lui ho imparato a fare lo stesso.
«E allora uno studioso disse: “Spiegaci la parola”. E lui dicendo: “Voi parlate quando avete perduto la pace con i vostri pensieri; e, quando non potete più sopportare la solitudine del cuore, voi vivete sulle labbra, e il suono vi è di svago e passatempo. E molte delle vostre parole quasi uccidono il pensiero. Poiché il pensiero è un uccello leggero che in una gabbia di parole può spiegare le ali ma non prendere il volo. Tra voi vi sono quelli che cercano uomini loquaci per il timore di restare soli. Il silenzio della solitudine mette a nudo il loro essere ed essi vorrebbero fuggirlo. E vi sono quelli che, senza consapevolezza e prudenza, parlano di verità che non comprendono. E quelli invece che hanno dentro di sé la verità, ma non la esprimono in parole. Nel loro petto lo spirito dimora in armonico Silenzio. Quando per strada o sulla piazza del mercato incontrate un amico, lasciate che lo spirito vi muova le labbra e vi guidi la lingua. Lasciate che la vostra voce parli all’orecchio del suo cuore; poiché custodirà nell’anima la verità del vostro cuore come si ricorda il sapore del vino quando il colore è dimenticato e la coppa è perduta.”».
K. Gibran, Il Profeta
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