Fai clic sull’immagine per vedere e ascoltare l’intera cerimonia del Premio Marciano.
Nei giorni scorsi ho rivolto particolari attenzioni ed energie ad un progetto nel quale sono stata felicemente coinvolta da Gianluca Palladinetti, assessore allo Sport di Ripa Teatina: il Festival “Premio Rocky Marciano”.
Una settimana di incontri e racconti in cui il mondo dello sport, nelle sue massime espressioni regionali e nazionali, si è dato appuntamento con la cittadinanza ripese e non solo.
Risulta davvero difficile fare il conteggio di quante medaglie olimpiche e mondiali sono state ospitate nel Borgo dei Campioni.
Il Premio Rocky Marciano nasce 14 anni fa dall’intuizione dell’allora sindaco dott. Mauro Petrucci e di un giovane entusiasta Palladinetti.
Esso è dedicato allo sportivo abruzzese dell’anno, col tempo e grazie alla direzione artistica di Dario Ricci, negli ultimi anni intorno all’evento si è creato un Festival con premi e riconoscimenti a quanti si sono distinti in ambito sportivo.
Per tutto ciò che concerne il Festival, dalla storia ai programmi, ti rimando ai link che troverai scorrendo nella lettura.
Infatti quello che qui è importante sottolineare qui è cos’è lo sport: perché da sempre l’uomo desidera competere in gare vincolate da precise regole? Ci si misura con se stessi o con gli altri?
Praticavano sport gli antichi Egizi, ovviamente i Greci, creatori delle prime Olimpiadi, si misuravano in gare i Latini e i Maya, in questi contesti lo sport talvolta era mera competizione, altre volte era spettacolo che teneva col fiato sospeso.
La competizione sportiva taglia trasversalmente le culture, perché risponde a bisogni fisiologici, sociologici e psicologici. Combattere in un terreno che non sia quello della caccia mi garantisce (ma non sempre, se pensiamo ai gladiatori!) la sopravvivenza e allo stesso tempo mi permette di misurarmi attraverso le abilità mentali, fisiche e, come direbbe l’amico del Festival Marciano, Stefano Tirelli, spirituali.
Quello che a mio avviso rende unico e straordinario il percorso di un atleta, indipendentemente dal livello agonistico o amatoriale, è che ci si educa anche in questo caso, attraverso una relazione.
Ce lo ricorda anche la grandissima Valentina Vezzali, quest’anno vincitrice del Premio Marciano alla Carriera.
In più passaggi nel suo intervento, la Vezzali, atleta con più ori in Italia nel proprio Palamares, ci ha ricordato di quanto sia stato importante l’incontro col suo maestro, che l’ha invitata e avviata alla scherma.
Dalle sue parole traspariva in modo limpido quanto quella relazione sia stata significativa perché lei sostasse sui podi più alti della scherma mondiale.
Non siamo mai soli, anche negli sport individuali. C’è sempre un allenatore, uno staff, un club di appartenenza. C’è sempre anche l’avversario attraverso il quale ci possiamo permettere di sublimare in modo protettivo quell’istinto a competere che si mescola in modo profondo a quel desiderio di ottenere piacere, che Freud, in alcuni passaggi, chiama Pulsione di Vita.
Un pulsione che oggi sappiamo essere in posizione dialogica con quella di Morte, ovvero con quel concetto di limite che ci rende straordinariamente umani.
Così ci appassioniamo ad uno sport o allo sport in generale e ne seguiamo gare e notizie, ricorrendo il nostro beniamino, perché attraverso quell’identificazione possiamo conoscere meglio noi stessi e l’umano.
Quell’identificazione permette di poter veicolare quei messaggi tanto importanti che si esprimono oggi nel fair-play: il valore delle regole, il rispetto per l’avversario, per l’arbitro, l’appartenenza ad un sistema più ampio di noi stessi, l’azzeramento dei concetti più bassi legati alle appartenenze etniche.
Tutti gli atleti che ho avuto il piacere di incontrare, intervistare e conoscere nella mia vita, esprimono quel concetto di sacrificio e abnegazione che tanto forgia il carattere, ne tempra le personalità, ne esercita la resilienza.
Lo sport insegna la gestione del tempo e dei ritmi, perché ci sintonizza sul nostro respiro e nel respiro del mondo.
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