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Depersonalizzazione: la perdita dei confini dell’io

Attualità

Depersonalizzazione: la perdita dei confini dell’io

Un piccolo resoconto fatto al prof. Giovanni Stanghellini negli anni di formazione universitaria

Faccio gesti che mi sono ordinati. Ho dei movimenti troppo disordinati perché possano essere i miei; qualcuno mi spinge, qualcuno mi fa comportare in un modo in cui non mi comporterei spontaneamente. Scrivo parole di altri. Contro la mia volontà, scrivo con una mano che non è la mia. Ho delle distrazioni, sono persa…vorrei guidare la mia testa da sola, ma non sono in possesso della mia mente.

(Appunti del dott. Sérieux), in G. De Clérambault, L’automatisme mental.

La sindrome di automatismo mentale, magistralmente descritta dalla paziente nel brano appena riportato, è quel fenomeno per cui un soggetto si sente influenzato, scippato dell’intimità del suo pensiero a tal punto che lo stesso può arrivare a ritenere che qualcun altro pensi al suo posto. La depersonalizzazione, quindi, è il fulcro di una simile esperienza. Essa si risolve in una “perdita del sentimento di unità e individualità della persona” (Evelynme Pewzner, Introduzione alla psicopatologia dell’adulto).

Una simile sintomatologia trova la propria definizione in quella che l’illustre Schneider aveva sistematizzato dietro la definizione di “sintomi di primo rango”. Ovvero in quella categoria nosografia in cui ciò che è privato, intimo, profondamente interiore diviene pubblico, manifesto, dominio della platea umana. Non solo, ma Schneider ricollegava a questa sua denominazione le esperienze di influenzamento somatico, influenzamento nel campo del sentimento, degli impulsi e del volere (Mario Rossi Monti, Giovanni Stanghellini, Psicopatologia della schizofrenia).

Parlare di disturbi dei confini dell’io e di depersonalizzazione, significa, in primo luogo, riferirsi ad alcune della più evidenti manifestazioni sintomatologiche della schizofrenia.

In quella che, volendo usare un’immagine di chiara immediatezza, viene definita emorragia, accade che letteralmente ciò che è fuori viene dentro e il contrario. E’ una sorta di flusso-deflusso in cui viene minata nelle profondità la meità del soggetto, ovvero quel sentimento del sé determinato da confini interiori che, in quanto tali, assolvono un ruolo cruciale: quello di demarcare, in una sorta di trincea di protezione e tutela del sé, ciò che io sono dall’alterità.

E’ utile ricordare come per Jaspers, che ha coniato il fortunato termine “Disturbi dell’Io”, il delirio si manifesti come uno o una serie di costrutti ideici ma riconducibili tutti a una precedente esperienza.

Da un punto di vista psicodinamico, sganciando il concetto di depersonalizzazione da quello di schizofrenia, è possibile ravvisarne una matrice di aiuto alla sopravvivenza nella scissione che si crea tra un sé che osserva e un sé che è coinvolto in una situazione traumatica e di crisi (Glen O. Gabbard, Psichiatria psicodinamica).

La letteratura psicopatologica riporta due tipi di depersonalizzazione quella calda, connotata da un’intensa partecipazione emotiva del soggetto e quella fredda, in cui tutto viene vissuto con distacco, questo secondo stato precede, generalmente, le forme di schizofrenia ebefrenica a prevalenza di sintomi negativi. Per quanto concerne la prima, Jaspers ne individua tre sottocategorie: quella allopsichica, in cui si avverte la trasformazione della realtà esterna e una certa stranezza del mondo circostante; quella autopsichica, cioè quando il cambiamento viene esperito soggettivamente, nella propria interiorità psichica; quella somatopsichica, quando l’estraneità è percepita principalmente nel proprio corpo o in parti di esso (Mario Fulchieri, Le attuali frontiere della psicologia clinica).

E’ interessante riportare anche quanto afferma Stanghellini in merito alla depersonalizzazione schizofrenica. Egli ne distingue due, la prima contrassegnata dalla perdita della presenza, ovvero da un sentimento di distanziamento da se stessi. Egli la rappresenta come una tipologia zombie, in cui vi è una “perdita della coscienza sensoriale di sé, cioè del contatto implicito con se stessi” (Giovanni Stanghellini, Disembodied Spirits and Deanimated Bodies, The Psychopathology of Common Sense). Il secondo raggruppamento è rappresentato dalla tipologia cyborg, la cui depersonalizzazione si realizza in un percepirsi come “repliche meccaniche di organismi viventi” (Ibidem).

La perdita della padronanza del sé può assumere quindi due forme: quella della passività, a essa sono riconducibili tutti i sintomi finora riportati, e quella dell’attività, in cui il soggetto crede di poter modificare con il proprio pensiero il mondo esterno. Proprio perché la psicopatologia si è sempre riferita alla schizofrenia, prediligendone gli aspetti negativi, tutti accomunati da una ciclopica alfa privativa (anaffettività, anedonismo…), e ha guardato agli aspetti positivi semplicemente come a una reazione logica e di contrapposizione ai primi, Rossi Monti e Stanghellini propongono, in merito, di acquisire una nuova ottica in cui si pongano in correlazione due aspetti dalla chiara matrice fenomenologica: quello dell’oggettivazione della mente e quella della soggettivazione del mondo. Con la prima ci si riferisce a quell’iper-riflessività, comunemente esperita nella sua forma tipica, che può condurre a ciò che in psicopatologia viene definita derealizzazione. Ovvero a un “vissuto di estraneità che innesca un processo di verifica sull’attendibilità della propria percezione”, (Mario Rossi Monti, Giovanni Stanghellini, op. cit.). In quello che risulta un vero e proprio husserliano mettere tra parentesi il noema per fare un salto verso la noesi, cioè passare dal percepito alla percezione, avviene che io guardo il mio sguardo. In questa riduzione edetica succede che viene piano piano minata la meità del mio sguardo: inizio a dubitare che esso sia veramente mio e qualcosa comincia a minacciare alla base il mio senso di unità. Inizia a innescarsi quel processo che culmina nella depersonalizzazione, di qui è breve il passo verso il delirio: sono altri che influenzano il mio guardare. Per rendere meglio l’idea di questo loop, immagino una sentinella che, per meglio rendersi conto se la propria posizione è consona a un buon avvistamento, se ne allontana e la osserva, perdendosi dietro questa percezione, la stessa realizza che ora qualcuno potrebbe impossessarsi del proprio posto. In quel momento, nonostante la sicurezza del castello della propria interiorità sia affidata alla propria responsabilità, qualcuno in sua vece può svolgere il lavoro di custode e guardia e prenderne il posto.

L’esperienza di influenzamento attivo della realtà esterna, invece, secondo Rossi Monti e Stanghellini, ha ancora una volta la riduzione fenomenologica come meccanismo “eziopatogenetico” al suo fondamento. Vi è sempre alla base una derealizzazione in cui si passa da un precedente senso di “spaesamento”, non riconosco più un oggetto, lo stesso si fa distante, strano. Questo stato genera un esasperato sentimento di attività (ibidem) che mi conduce a ritenere il mio sguardo tanto fondante la realtà da mantenere quest’ultima in vita. E’ il mio pensiero che dà vita al mondo, non più un cogito ergo sum, ma un penso: quindi il mondo esiste! Di conseguenza ciò che accade è influenzato e persino diretto dal mio pensare, in quello che in psicopatologia viene definito “fenomeno di influenzamento attivo”. Questi due differenti aspetti potrebbero essere rappresentati così: dal precedente “qualcuno pensa al mio posto e mi influenza” (transitivismo) a un “posso influenzare eventi o persone e dirigere il loro pensiero” (appersonazione).

Una dialettica quella tra soggettivazione del mondo e oggettivazione del sé che risulta quasi paradossale, ma che rappresenta una duplice tendenza. Essa ritrae in certi casi un tratto tipico, ma che, cristallizzandosi nello schizofrenico, diventa una forma di accomodamento del sé nient’affatto adattiva, bensì patologica.

Photo courtesy of Giorgia Starinieri

Ciao, mi chiamo Francesca di Sipio e sono l'ideatrice di questo portale web. Sono una psicologa clinica, psicoterapeuta, analista-transazionale ad approccio integrato, psicologa dello sport. Il mio studio è sul territorio di Chieti-Pescara. Mi trovi sui social, sulla mail ma soprattutto al 3477504713

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