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Allenare o educare? Discorso ai tecnici di una scuola calcio

Attualità

Allenare o educare? Discorso ai tecnici di una scuola calcio

E’ possibile trovare nel gioco e nel divertimento un spazio educativo dei ragazzi in una scuola calcio?

Definiamo dapprincipio gli obiettivi formativi di un tecnico. Essi sono concepibili come:

  • conoscersi meglio per lavorare con maggior consapevolezza con gli atleti (motivazioni ad allenare, filosofia di allenamento, percezione di autocompetenza);
  • conoscere ed essere in grado di applicare i principi che stanno alla base del mantenimento della motivazione nello sport alle diverse età e ai diversi livelli;
  • conoscere vantaggi e svantaggi dei diversi stili di leadership;
  • conoscere gli stili comunicativi, valutare il proprio e eventualmente pensare come potrebbe migliorare;
  • capire i diversi modi in cui si possono affrontare confitti e confronti nella squadra.

Allora di cosa parliamo? Di allenatore o educatore?
Etimologicamente allenare significa rafforzare, ma quello che per un bambino accade all’interno di una scuola calcio non può essere semplicemente questo.
Così preferiamo parlare di educare. Educare viene dal latino e-ducere, cioè condurre fuori, questo è il vostro ruolo, far uscire dai ragazzi fior di potenzialità, far uscire da loro la propria personalità il proprio meglio.
Ecco in questo incontro avrei dovuto parlarvi di motivazione. La motivazione cioè, la spinta che porta ciascuno di voi a stare in contatto con i ragazzi.
Allora ho pensato che ritrovare un rinnovato slancio per questo lavoro, questa missione, oserei dire, può essere possibile nella misura in cui ciascuno di voi si riappropri del proprio ruolo.
Partire quindi da domande tanto semplici quanto fondamentali:

CHI SONO IO?

CHI SONO IO ALL’INTERNO DELLA SCUOLA CALCIO?

CHI SONO IO PER LA SQUADRA?

CHI SONO IO PER …Luca, Matteo, Andrea?

COSA PENSO DI ME STESSO?

COSA PENSO CHE GLI ALTRI PENSINO DI ME?

COME VORREI ESSERE?

Ho iniziato l’osservazione del vostro lavoro chiedendovi su cosa ciascuno di voi desiderava che io osservassi. Ognuno di voi ha dato risposte diverse.
L’automonitoraggio, l’autoconsapevolezza sono principio e fine del lavoro che andremo a fare.
Credo che il lavoro più grande di chiunque sia chiamato all’educazione dai genitori, agli insegnanti, dagli allenatori, ai catechisti sia quello di mettere in continua discussione se stessi, perché più che con le parole si educa con i fatti, con l’esempio.
Queste domande possono segnare una differenza all’interno di quello che viene definito il triangolo delle competenze.
Quello che ci insegna la psicologia oggi è che avere competenze è una condizione necessaria ma non sufficiente per riuscire.

  • Il sapere: quel sapere che è alla base della vostra competenza, che avete acquisito con i corsi, la formazione;
  • il saper fare: quello che si attua in mezzo al campo, quando inventate un esercizio, quando osservate, valutate.
  • il saper essere… questo vertice del triangolo e ne indica la differenza, è quello su cui intendo lavorare con voi.

Saper essere significa partire, come già detto, da se stessi per arrivare agli altri e sviluppare quell’intelligenza emotiva che ci permette di intessere rapporti significativi con gli altri.

L’oracolo di Delfi recitava “Conosci te stesso”.

Oggi si parla molto di intelligenza emotiva, ovvero di quella capacità squisitamente umana che ci permette di stare in contatto con noi stessi e di intrecciare relazioni interpersonali pregnanti e significative. I domini di tale facoltà sono:

  • L’autoconsapevolezza;
  • l’autogestione;
  • la consapevolezza sociale;
  • la gestione dei rapporti

Chiaro che un buon educatore deve innanzitutto conoscersi bene, sapersi gestire, saper riconoscere emozioni, sentimenti degli altri, sapersi organizzare ed essere seriamente e autenticamente orientato al servizio dei ragazzi, saper comunicare, gestire i conflitti.
Oggi lavoreremo sull’autoconsapevolezza.
Esperirete il pensiero positivo come un assunto fondamentale.
Ma andiamo per gradi. Sviando il pericolo di falsa retorica dobbiamo pensare che per la complessità della società, oggi risulta essere fondamentale nell’esperienza dello sperimentarsi all’interno della Scuola Calcio, all’interno di un contesto, cioè in cui lui ha la possibilità di esprimersi ed esperire in un contesto libero ma sicuro.
Allora cominciamo a pensare a quanto fondamentale sia per un bambino venire alla Scuola Calcio.
È un’esperienza che struttura la personalità, al pari della famiglia e della scuola, lo sport ha l’alto compito di insegnare al bambino a stare al mondo, ma a differenza di questo lo insegna giocando…
Cosa impara il bambino: RISPETTO DELLE REGOLE, RISPETTO DEGLI ALTRI, IMPEGNO E LA FATICA per UN OBIETTIVO, LAVORARE in SQUADRA.

Ciao, mi chiamo Francesca di Sipio e sono l'ideatrice di questo portale web. Sono una psicologa clinica, psicoterapeuta, analista-transazionale ad approccio integrato, psicologa dello sport. Il mio studio è sul territorio di Chieti-Pescara. Mi trovi sui social, sulla mail ma soprattutto al 3477504713

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