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Genitorialità: i no che educano

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Genitorialità: i no che educano

Quando un “No” può diventare uno spazio in cui imparare a pensare, sentire e a sopportare la frustrazione

Quante volte un genitore si trova davanti a una protesta, più o meno marcata, del figlio? La risposta è spesso, più spesso di quanto ciascuno desideri.
Anche nella fase dalla “fantasia di avere un figlio” la coppia o la singola persona si domanda: “E se è di destra? E se è di sinistra? E se sarà juventino? E se non lo sarà? E se mi chiederà di fare danza? Se non vorrà giocare a calcio? E se non vorrà andare all’Università?” e questa lista potrebbe continuare fino all’infinito.
Ciò che accomuna tutte queste legittime domande è “come gestirò il fatto che lui/lei è diverso/a da me?, come affronterò la sua alterità?”.
Ciascuno di noi è uguale e diverso da sua madre e suo padre. Ciò è possibile grazie all’opportunità che ci diamo di trattenere gli aspetti più funzionali per noi di essi e di modificare, talvolta solo per antitesi (ciò andrebbe processato meglio) i tratti meno funzionali. Così è. Così sarà anche per vostro figlio.

Intuirete, pertanto, quanto c’entri questo con la libertà, capacità e possibilità di dire “No” al proprio figlio.

Un “No”, se ben comunicato, lungi dal generare un bambino, giovane o uomo frustrato, ne amplifica le possibilità di tolleranza all’altro, al mondo, alla vita.

Un “No” ben detto genera resilienza, ovvero quella capacità squisitamente preziosa che comunemente chiamiamo “forza d’animo”.

Un “No” ben detto, fa esperire, a ogni età la capacità di autocontrollarsi, autodeterminarsi, autonomizzarsi.

Un “No” ben detto, inoltre diventa lo spazio in cui il genitore può conoscere il proprio figlio e farsi conoscere in autenticità di rapporto.

Ma se i frutti sono davvero questi, perché è così difficile dire e mantenere un “No”?

Le ragioni possono essere molteplici e varie, qui di seguito ne elencherò le più comuni.

  • Provo senso di colpa: per il fatto di passare poco tempo con mio figlio mi sento inadatto e non autorizzato a dare regole”, ma ciò non vi esime dal compito educativo di cui siete investiti;
  • Ho scarsa tolleranza alla sua protesta”: i ragazzi e i bambini sanno prendere per sfinimento. Non cedere e avere un dialogo interno sufficientemente buono con sé, quando la protesta si protrae può aiutare;
  • Quando è nato, quando è stato così male, quando l’ho visto soffrire mi sono detto: Non deve mancargli nulla”, eppure nella vita qualcosa gli mancherà: un amico che va lontano, un nonno che verrà a mancare, un’esperienza cui proprio non può accedere, un amore non corrisposto e così via. Pertanto insegnare a un figlio a tollerare la distanza che talvolta c’è tra i sogni e la realtà può diventare davvero il modo di non far loro mancare nulla;
  • Non voglio fare come i miei fecero con me”, come accennato in precedenza tale modalità antitetica di differenziarsi dalla propria famiglia di origine, in realtà non genera poi maggior benessere nei figli. Compito continuo e costante dei genitori è quello di fare pace con la propria storia, mitigando i punti di fragilità, oserei dire affidandosi a quelle fragilità per rinnovarsi come uomini e donne sereni e pacificati;
  • In fondo cosa c’è di male?”, qui sarebbe interessante soffermarsi a pensare in merito al proprio rapporto con le regole, verificare se siamo davvero convinti che esse, ben lungi da essere divieti coercitivi, sono per noi, un po’ come un giocatore di calcio, garanzia di protezione, di sicurezza, di divertimento.

Un “No” non soltanto apre ai “”, tanto da poter cambiare il titolo di questo articolo in “I No che educano: i No che aprono ai Sì”, ma genera attesa, rinuncia, conquista, riconoscenza, morale interiore e anche condivisa.

Genera uno spazio in cui ci possono essere nuove narrabilità tra genitore e figlio, una pensabilità, una stasi, un momento di riflessione o di semplice noia, ma di quella buona, quella in cui dal silenzio e dall’assenza il bambino può essere in grado di generare se stesso, i propri gusti, la propria posizione esistenziale.

Ma come dire un “No”in modo da generare tutti questi frutti?

Il “No” è necessario che sia comprensibile, pertanto va, in un moto di condivisione, motivato, espresso in modo chiaro e mantenuto da entrambi i genitori.

Su questo torneremo prossimamente.

Ciao, mi chiamo Francesca di Sipio e sono l'ideatrice di questo portale web. Sono una psicologa clinica, psicoterapeuta, analista-transazionale ad approccio integrato, psicologa dello sport. Il mio studio è sul territorio di Chieti-Pescara. Mi trovi sui social, sulla mail ma soprattutto al 3477504713

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