Pianificare significa compiere uno sforzo in modo organizzato al fine di abbozzare uno schema di intervento efficace e sistematizzato.
Tutto si gioca in quella relazione che all’inizio assume il significato di alleanza terapeutica. Ovvero di quello scambio basato su una reciproca fiducia tra psicologo e paziente: il primo si aspetta che il secondo sia collaborativo e onesto, il secondo si aspetta che il primo sia collaborativo, onesto, capace.
Il tipo di pianificazione che preferisco è quello che va dall’alto verso il basso (Top-Dow).
Ovvero stabilisco col paziente l’obiettivo generale, meglio noto nella prassi analitico-trasazionale da me praticata come contratto terapeutico.
L’obiettivo generale determinerà una serie non troppo ampia (tipo 3-4) di obiettivi più specifici o mete.
Cosa deve accadere perchè l’obiettivo principale venga raggiunto?
Alberto vuole conquistare la propria autonomia e uscire di casa… Cosa dovrà accadere? Ad esempio che si cerchi un lavoro, che cerchi gli annunci, che si faccia un’idea di quanto ha bisogno per vivere, che scelga dove andare a vivere (in centro spendendo di più? o in periferia risparmiando sull’affitto ma aumentando i costi della benzina?)
L’obiettivo generale pertanto è lo scopo dell’intervento (vivere da solo), le altre condizioni sono le mete da raggiungere.
Le strategie rappresentano le strade praticabili per arrivare alla meta (chiedere in giro, cercare su internet, affidarsi ad un’agenzia ecc).
Le tecniche invece sono i modi: andrò a piedi a guardare, farò telefonate, userò whastapp.
Fuori dal nostro banale esempio, possiamo dire che nella pratica clinica, alla base di un buon intervento c’è uno scopo che sia chiaro, verificabile, raggiungibile, quindi ci sono mete esplicite, strategie specifiche e tecniche note.
scopo
meta meta meta meta
strategia strategia strategia strategia
tecnica tecnica tecnica tecnica
Una pianificazione bottom-up, dal mio punto di vista, può contenere in sè la possibilità che le tecniche vengano utilizzate anche molto bene, ma con scarsi risultati.
In linea di massima cerco di tenere sempre presente la complessità dei sistemi umani con i quali entro in contatto emotivo, provo però a pensarli in modo semplice, a raccontarli (scrivendo appunti o parlando col supervisore) in modo genuino, scompongo e ricompongo le storie, muovendomi attraverso di esse
con il sentimento di chi sa di essere un piccolo ospite dell’altro.
Bibliografia
R.B. Makover, La pianificazione dei trattamenti in psicoterapia, Las, Roma, 1999.
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