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Uno psicologo può aiutare una squadra o un singolo atleta?
“Certamente, ma non ci sono ricette universali -spiega Paolo Nicolai, campione mondiale di beach volley- per me è stato importante avere un riscontro chiaro e concreto”.
L’atleta ortonese continua, ricordando come, durante la propria carriera, ha visto diversi psicologi, con metodi diversi che spaziano dalle figure incoraggianti del “Bisogna crederci“, a quelle, tipo Giuseppe Vercelli, il cui approccio pratico ha segnato la differenza nella carriera di Nicolai.
Un lavoro improntato non tanto sui “motti” dai quali generare una performace, quanto sulla consapevolezza delle proprie qualità, delle proprie risorse. Un lavoro attraverso cui l’atleta, anche nei momenti di difficoltà, riesce a sapere chi è, cosa può fare, riesce a tenere alta e viva la fiamma della motivazione.
Il lavoro psicologico permette di mantenere un dialogo armonico tra ciò che si vuole fare e ciò che in quel momento si riesce a fare.
Il campione mondiale ci tiene a precisare come questo tipo di lavoro sia complesso, nel senso che riguarda sì gli aspetti psicologici, ma anche quelli fisici, tecnici, tattici.
Un tipo di approccio, questo, fondamentale, perché consente di pensare l’atleta e la persona nella propria storia, col proprio percorso.
Questo passaggio permette di ribaltare il focus dell’attenzione del lavoro nel dentro e fuori la gara: focalizzazione non più centrata sulla vittoria o sull’avversario, ma sul sè e sul noi della squadra, “sulle proprie risorse, sia quando si è indietro sia quando si è avanti nel punteggio“.
Oggi sappiamo che non possiamo controllare o cambiare l’altro. Tutto ciò che possiamo fare è la nostra parte.
L’approccio vincente, in campo e nella vita.
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