Essere belli aiuta. Lo sappiamo tutti. Lo dice anche la scienza.
Esperimenti di psicologia sociale già nei primi anni 20 dello scorso secolo lo hanno dimostrato e la stessa espressione “effetto alone” fu introdotta in quel periodo dal noto psicologo Thorndike.
Il suo studio, infatti, dimostrava come gli ufficiali dell’esercito tendevano a dare giudizi e valutazioni più positive alle persone di aspetto piacevole.
Il nostro cervello infatti è solito prendere delle scorciatoie tese a far risparmiare tempo e fatica. Queste scorciatoie assumono il nome di bias che altro non sono che piccoli errori di cui siamo completamente inconsapevoli.
Così tendiamo ad offrire aiuto, dare fiducia e credibilità maggiormente a quanti sono fisicamente avvenenti.
Tuttavia questo non rappresenterebbe ancora un grande problema se non fosse per il fatto che esistono altri bias che per un processo estremamente protettivo del nostro cervello ci rendono faticosa la possibilità di cambiare idea (bias conservativo), facendoci cercare unicamente gli elementi tesi a confermare (bias di conferma) le nostre tesi iniziali.
Così possiamo continuare a giudicare sgradevole, infelice, noiosa una persona senza offrire alla stessa e a noi stessi la capacità plastica di aprirci a nuove opportunità.
E dall’altro lato non notare incongruenze, sgarbatezze e atteggiamenti offensivi da parte di chi è bello.
Essere consapevoli di questo potrebbe generare per noi quella piccola rivoluzione copernicana di aprirci al dubbio e a possibilità altre e di prendere il nostro giudizio per quello che è: una premessa, che può essere cambiata.
Chi a cinquant’anni vede il mondo così come lo vedeva quando ne aveva venti ha sprecato trent’anni della sua vita.
(Muhammad Ali)
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