Un antico proverbio cinese così recita:
“Di tutti gli stratagemmi, sapere quando smettere è il migliore.”
Così è stato per Francesco Totti, campione indiscusso, la cui figura è in queste settimane celebrata sa Sky con una fiction ispirata al libro “Speravo de morì prima“.
Nella serie si raccontano le difficoltà del campione nel progettare il finale della propria carriera, ma anche il dolore di un uomo che si trova davanti ad un passaggio fondamentale della propria vita.
Elaborare questa “migrazione” è importante per tutti, per tutte le carriere, in modo particolare per quella degli atleti che presto, prima di altri professionisti, si ritrovano a cambiare attività.
Certo le ginnaste o gli arcieri hanno un’età molto diversa quando si trovano a dover sospendere l’attività.
Già questa condizione ne determina il passaggio in modo differente e l’elaborazione ha caratteristiche ed esiti davvero molto diversi.
Spesso gli atleti sono impreparati a questo momento, in modo particolare se la loro intelligenza corporea ha loro consentito di raggiungere livelli alti nelle performance e se hanno potuto contare moltissimo sulla reattività del corpo.
Gli atleti alle volte crescono nel mito per il quale con l’impegno tutto è raggiungibile e ciò li rende capaci di gesta leggendarie. Se quello stesso corpo da cui sono nate e fiorite innumerevoli gioie, si trova davanti a dei limiti, possono mancare le coordinate per elaborare questa perdita. Perchè di questo si tratta, in senso psicologico: di elaborare una perdita, un lutto. Questo può sprofondare l’atleta e la persona davanti ad una vertigine esistenziale in cui bisogna ripensare se stessi, prima che la propria routine.
Pensare allora di lasciare diventa un percorso, verso nuove aperture di senso, verso se stessi, verso significati possibili e ancora da scoprire.
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