Biofeeddback è una tecnica che riguarda i processi fisiologici legati alla psiche, numerosi sono gli studi, le applicazioni e le ricerche che riguardano questo argomento a partire dagli anni ’80.
Il termine significa informazione biologica di ritorno nei processi fisiologici.
Attraverso questa tecnica è possibile avere informazioni su come il nostro organismo risponde da un punto di vista fisiologico quando, ad esempio, sta imparando o migliorando un movimento alla base di un fondamentale nella disciplina sportiva e come questa attività fisiologica sia in correlazione a quella emotiva.
Il risultato di questo processo genera una consapevolezza per la quale l’atleta è in grado di produrre il miglior stato di attivazione fisiologica possibile durante la performance, attraverso il controllo, ad esempio, della tensione muscolare o la gestione emotiva.
Ricordo che il mio prof di neurofisiologia un giorno in aula ci disse:
“Piangiamo perché siamo tristi o siamo tristi perché piangiamo?“
Le conclusioni furono: “Un po’ e un po’“.
Nel senso che nei circuiti fisiologici gli aspetti filogeneticamente più nuovi, legati alla cognizione e quindi alla parte corticale del cervello, possono produrre cambiamenti alla stregua dei processi più antichi che riguardano il sistema subcorticale dello stesso.
Quindi se piango perché mi è accaduto qualcosa per cui sono triste il cervello capirà la netta connessione che esiste tra il lacrimare e la tristezza al punto che i due processi saranno sempre più sincroni.
Ecco allora immaginiamoci che sappiamo come predisporci muscolarmente ed emotivamente all’apprendimento o alla prestazione sportiva.
Tutto questo è possibile grazie agli sviluppi entusiasmanti della scienza: infatti,con l’applicazione di strumenti che amplificano i segnali fisiologici interni, come i ritmi alfa, generando quegli schemi visivi e uditivi come nelle EEG (elettroencefalografia), possiamo comprendere meglio noi stessi, come funzioniamo.
Ne deriva la possibilità di apprendere o ri-apprendere, attraverso il condizionamento operante con rinforzo positivo, nuovi schemi motori, ma anche nuove modalità di pensiero e, addirittura, modificare i ritmi di alcune funzioni vegetative.
Le fasi pertanto sono tre:
- la consapevolezza del proprio processo;
- il training che avviene in uno studio;
- l’applicazione in campo di quanto emerso.
Queste fasi generalmente sono gestite per l’atleta da un team di professionisti quali il tecnico, il medico, lo psicologo, che ne curano una presa in carico globale.
Questa tecnica non viene usata solo nello sport anzi possiamo dire che è prestata allo sport, la sua primaria applicazione riguarda disturbi come quelli dell’apprendimento, la balbuzie, le fobie, l’emicrania, l’asma.
Questa tecnica rende sempre più attuale il tema etico-deontologico e investe la consapevolezza da parte di chi la applica della propria epistemologia.
Il rischio che sento è quello che abbiamo già visto: generare nuove possibili forme di doping, piuttosto che
educare l’uomo, lo sportivo, il suo pubblico a quel concetto ancestrale e raffinatissimo di limite sul cui superamento lo sport da sempre fonda il suo fascino spettacolare. Fascino che stordisce, a volte. Fascino che eleva e incanta più spesso.
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