Un fenomeno cui stiamo assistendo è quello denominato “Sindrome della capanna”, cioè il timore di lasciare la nostra casa dopo il periodo di lockdown e di riprendere quella quota di normalità della vita quotidiana che oggi finalmente ci possiamo permettere.
Questo fenomeno è comprensibile se pensiamo che dentro le mura domestiche nel periodo della quarantena abbiamo trovato il riparo da quel male, il Covid-19, invisibile e dalla facile contagiosità.
Il nostro desiderio di conservarci oggi ci potrebbe oggi portare a considerare la casa una zona di confort, oltre la quale molte sono le variabili che non possiamo tenere sotto controllo.
La sindrome della capanna può essere vista come una sorta di nostalgia verso un posto che ci ha permesso la sopravvivenza all’interno di un periodo difficile o traumatico. La casa, infatti, ha rappresentato per molti una base sicura in un momento relazionale insicuro.
Così oggi può capitare che la nostra capacità di esplorare venga mortificata sotto il peso della paura.
Ecco se leggiamo tutto questo nella cornice grande e più ampia della pandemia, questi atteggiamenti e vissuti possiamo dire che rientrino in una normalità statistica che si può non solo spiegare ma anche decristallizzare, verso nuove aperture di senso in cui trovare modi protettivi e liberi di tornare ad abitare il mondo con la sua quota di incertezza ma anche di bellezza.
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