Più volte negli articoli precedenti ho trattato il tema dei giochi psicologici secondo l’ottica berniana.
Il proponimento è quello di scrivere a breve un articolo riassuntivo.
Qui, invece, tratterò di una categoria molto specializzata di “giocatori”. Le persone goffe che, facendo gaffe, collezionano un numero impressionante di “Ti chiedo scusa“.
Ed ecco che mentre leggi, probabilmente ti si inanellano una serie fitta di episodi che ti riguardano o che riguardano situazioni in cui eri presente.
Secondo Berne questo tipo di attività è un gioco sociale, perché avviene per mezzo di transazioni sociali, teso ad assicurare al pasticcione il perdono da parte di chi ha subìto un danno dal modo grossolano e maldestro di muoversi nello spazio del giocatore.
Così capita che una persona cada a terra, inciampi davvero spesso, faccia cadere o rompa oggetti, pesti i piedi, sia molto disordinata, dica cose un po’ sconvenienti ecc. ecc..
Sviate le spiegazioni di natura fisica e neurologica che potrebbero sottostare a questi tipi di comportamenti è interessante la visione di Berne.
Egli ci invita a leggere la dinamica di quanto accade con un occhio un po’ più esterno rispetto a chi è nel sistema interessato.
Il goffo combina un pasticcio, si mortifica, chiede scusa. Secondo quelle che sono le norme sociali, la persona che ne ha subìto il danno è tenuta ad accettare le scuse e, laddove non lo facesse, il pasticcione è autorizzato a risentirsi.
Ma che tipo di bisogno c’è dentro questa dinamica? Innanzitutto quello di essere perdonati, di poter rompere uno svolgersi lineare del tempo, segnandone una crasi, ed essere assolti. I ruoli coinvolti nel processo sono quelli che vanno dal colpevole alla vittima, laddove il perdono non sia concesso.
Questo è un modo di ambire all’approvazione altrui incondizionata o meglio condizionata allo stato di scompiglio portato è la ricerca di una certezza che non sazia.
“Vado bene, anche se sono colpevole?“, è il paradosso dentro il quale il pasticcione si muove e dal quale è impossibile uscire, se non offrendo a se stessi quell’accoglienza autentica, se non quando da fuori arriva un messaggio nuovo: “Puoi combinare tutti i pasticci che vuoi, ma per favore, non chiedere scusa“.
Così tenerezza e consapevolezza si mischiano.
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