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Le relazioni che curano

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Le relazioni che curano

Naturalmente predisposti alla relazione: neuroni, rispecchiamento, sintonizzazione emotiva

Il titolo dell’articolo è “Le relazioni che curano”, il sottotitolo che ho dato in modo particolare al mio intervento è: “Naturalmente predisposti alla relazione: neuroni, rispecchiamento, sintonizzazione emotiva”.

Le relazioni che curano, perché è così: le relazioni distruggono, le relazioni curano.

Abbiamo deciso di partire da qui perché sebbene ognuna di noi abbia formazioni diverse, tutte sono accomunate dal fondamento relazionale.

E ci sono delle basi scientifiche, perché la psicologia non è un atto di fede, ma una scienza, che ci dimostrano questo.

Il cervello umano fin dalle primissime fasi di vita è geneticamente predisposto ad un particolare tipo di apprendimento: l’imitazione.

Perché l’imitazione si possa compiere c’è bisogno di almeno due persone, uno che propone e uno che imita, appunto. Ecco la relazione.

Esistono dei neuroni molto famosi, i neuroni specchio, situati in Area F5 premotoria, attivi fin dalle prime ore di vita che consentono l’imitazione e, con essa, la socialità e la relazionalità.

Cioè noi siamo geneticamente programmati per imitare, ovvero per riprodurre sul nostro corpo, nella nostra esperienza, quello che abbiamo davanti.

Capite bene che tale predisposizione attiva già da molto piccoli, fin dal grembo materno, ci segna. Inevitabilmente.

Gli studi sull’Analisi Transazionale, l’approccio su cui mi sono formata, attestano come il processo decisionale di ciascuno di noi, grazie al quale ci formiamo un’idea circa chi sono io, chi è l’altro che si prende cura di me e cos’è il mondo inizia fin dal grembo materno. A 4 anni è pressoché abbozzato e a 8 anni il copione di vita sul quale intesseremo ciascuna delle relazioni e delle esperienze che faremo per tutta la vita è definito.

Ma questo cosa significa, che siamo segnati inevitabilmente per tutta la vita?

Certamente no.

Altrimenti non staremmo qui.

Queste decisioni prese possono essere cambiate grazie agli incontri della vita: una madre affidataria, un partner sicuro, una psicoterapia, la scoperta di una relazione autentica con Dio nella fede, un insegnante che crede in noi… e così via.

Relazioni in cui…

…il come è più importante del cosa.

La tua storia e quella di chi hai incontrato o incontrerai è inserita all’interno di una relazionalità che spesso potrà essere indicativa dell’esito di quella situazione.

Mi spiego: quello che è noto alla psicologia è che relazioni significative e, come direbbe Winnicott, “sufficientemente buone” predicono “successi” o per lo meno vite vissute, esperienze fatte in armonia con se stessi e con la realtà, verso una buona realizzazione di sé.

Relazioni in cui, in quell’Io-Tu, non c’è la necessità che tutto fili diritto e sia perfetto, perché possiamo stare insieme. Il nostro non comprenderci, ci porta innanzitutto ad imparare a gestire la frustrazione che ne deriva e poi ad attivarci per cercare strategie per uscirne.

Così inizio a sperimentare che vado bene anche quando sbaglio e che quell’errore può essere riparato e che, paradossalmente, sapere che l’errore si ripara mi rassicura di più dell’avere l’aspettativa che io non sbaglierò mai e che gli atri non sbaglieranno.

Questo è possibile a partire da quel magnifico processo che Stern chiama di sintonizzazione o attunement. Processo che la Mahler chiama Rispecchiamento, Traverten Intersoggettività, Fonagy Funzione riflessiva.

Esso non è il mero entrare in confidenza col bisogno dell’altro e riconoscerlo, non è l’empatia, è di più.

È prendere roba che è forte, che non sembra avere un senso come la fame atroce di un neonato e aggiungere significato da parte del genitore o care giver (il datore di cure) a quanto accade, è consegnare la chiave con cui leggere il pentagramma dell’esistenza. Altrimenti resterebbero solo una serie di crome e semicrome appese qua e là e un suono che sa solo di rumore.

La relazione offre la chiave, il senso, decifra codici, ne offre di nuovi, apre prospettive, dona senso.

Un senso che, come già accennato in precedenza, acquisisce valore a partire dalle interruzioni nella sintonia, dai cambi di giri, dalle incomprensioni, dalla crisi, dalla frustrazione di non capirsi e di cercare nuovi canali su cui comunicare.

Ricordo con tenerezza quando dopo un bel percorso fatto con un paziente, lui un giorno mi disse: “È bello indovinarsi”… cioè per lui aveva davvero un gusto nuovo aver appreso strumenti per comprendere se stesso e gli altri.

Quelle relazioni interiorizzate da bambini, da molto piccoli, diventano Modelli Operativi Interni, ovvero degli schemi (Bolwby) meccanici con i quali leggiamo e interpretiamo la realtà, che si attivano e riproducono automaticamente e che segnano il nostro modo di stare al mondo.

Ecco che una relazione nuova con pazienza, delicatezza, con la tenacia e la tenerezza di chi ama, di chi raccoglie i cocci e ci compone un’altra opera d’arte, come nel kintsugi, può offrire lo spiraglio verso un mondo più sicuro.

 

Ciao, mi chiamo Francesca di Sipio e sono l'ideatrice di questo portale web. Sono una psicologa clinica, psicoterapeuta, analista-transazionale ad approccio integrato, psicologa dello sport. Il mio studio è sul territorio di Chieti-Pescara. Mi trovi sui social, sulla mail ma soprattutto al 3477504713

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