Desidero continuare la riflessione su questo tema così ricco e interessante delle scelte.
Una scelta è la decisione di prediligere una delle opzioni che riusciamo a pensare e immaginare per operare sulla realtà.
Tale affermazione si riferisce sia alla realtà pratica come anche a quella fantasmatica, sia essa etica, morale o legata ad un interesse personale come andare a correre, nonostante il mal tempo.
Operiamo scelte continuamente… il più delle volte non ne siamo coscienti.
Ci sono scelte più importanti, quasi fondamentali, dalle quali dipende buona parte del resto della nostra vita… Per esempio la città in cui vivere, studiare o lavorare.
Operiamo scelte, però, quando siamo nel sistema della contingenza e non nella necessità.
La necessità è, anzi, il campo in cui le possibilità di scelta e autodeterminazione risultano davvero limitate. Pensiamo ad un adolescente i cui genitori decidono di trasferirsi. Pensiamo ad un malato che può scegliere soltanto come affrontare la propria malattia (scelta non da poco, direi).
Fatta questa doverosa premessa, possiamo soffermarci sul concetto di responsabilità.
Per me essa nasce dal diritto di operare scelte e va coniugata con la consapevolezza delle risorse per operarle, pertanto comporta la conoscenza di sé; è strettamente legata al concetto di etica.
È, etimologicamente, la nostra abilità a dare risposte: “respons…abilità”, pertanto, in quanto “abilità” può essere allenata.
Quali risposte do al contingente? All’altro? A me stesso? Quanto sono abile a farmi carico di me? Quando sto con me dove sta l’altro?
Ecco la responsabilità richiede la padronanza del funambolo nel tenere in equilibrio il senso di me e il senso dell’altro, quella misura, quella cura, quell’amorevole corrispondenza fatta di relazione.
Nell’arte di metterti dalla tua parte, scoprirai che fare ordine restituisce anche all’altro la responsabilità di sè.
Bisogna darsi il permesso di essere chi siamo, ma bisogna darlo anche all’altro.
In questo modo ci consegnamo la meravigliosa possibilità di sbagliare, cambiare, evolvere, cadere.
Come quella volta in cui Sandra consapevolizzò che il suo bisogno di controllare ossessivamente Biagio, il suo compagno che lavorava lontano, era mera illusione e mero paradosso.
Nessuna tecnologia riusciva a calmare quella sete di sapere dove fosse e con chi. E ad ogni azione di controllo, questa donna bellissima alzava una barra dalle prigione che si andava costruendo. Il suo fare concitato nel sorvegliare l’altro la proteggeva dal dolore per la sua storia di bambina non vista e dalle cure delegate dai suoi genitori, molto presi dal lavoro e da relazioni extraconiugali.
Sandra ad ogni rassicurazione del tenero Biagio sentiva una minaccia. Così avanti per anni. Fino a quel periodo in cui sperimentò che dare all’altro la libertà di uscire con i colleghi, poteva generare quello spazio di libertà in cui lei riprendeva il pianoforte e poi le uscite con le amiche, un viaggio da sua sorella nella fantastica cornice di Parigi.
Biagio resse quella dose di libertà e responsabilità. Le chiese di sposarla. Scelta che rimandava da 8 anni. Non seppi più nulla di loro.
Mi piace pensarli in una bella città toscana, spingendo felici un carrozzino e assumendosi la responsabilità di quella nuova vita, la cui libertà ora dipende dalla loro.
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