Analisi Transazionale
Quando lo psicologo va in TV
TV e psicologi tra responsabilità etico-deontologiche ed esigenze mediatiche

TV e psicologi tra responsabilità etico-deontologiche ed esigenze mediatiche
In qualità di giovane (ma nemmeno poi tanto!) psicoterapeuta mi sono a lungo interrogata davanti alla presenza sempre più massiccia di colleghi nei più diversi programmi dei palinsesti della tv nazionale: da “Quarto Grado” a “La Vita in Diretta”, passando per “Pomeriggio 5” fino ad arrivare a “Ballando con le Stelle”.
Cosa c’entriamo noi, in quegli ambiti?
Molto spesso la risposta che mi sono data è che finalmente si stia sdoganando un concetto di psicologo incartapecorito che profumi come Freud di sigaro, troppo spesso ingrigito dalla polvere sui tappeti e sulle chaise longue dei propri studi.
Penso all’esperienza della fiction “In Treatment”. Essa offre un’idea pressoché vicina alla realtà del lavoro di uno psicoterapeuta.
Nonostante, inoltre, siano riconoscibili per l’edizione italiana i limiti di un impianto narrativo che necessita di evidenti colpi di scena a causa di un ritmo altrimenti troppo lento, chi guarda riesce a farsi un’idea verosimile circa quello che può accadere all’interno di uno studio di uno psicologo e dentro quella relazione. Anche se, a onor del vero, il personaggio di Castellitto, Giovanni Mari non è poi uno psicoterapeuta così brillante!
Penso anche a quei programmi in cui l’esperto viene invitato per offrire il proprio contributo su grandi temi: Bullismo, Anoressia, Figli di separati, in cui non solo non si entra nell’ambito del caso specifico, ma dove il conduttore lascia libertà allo psicologo di tracciare le fila di un pensiero e di concluderlo.
Credo di aver visto qualcosa di simile su TV 2000 e alle Iene circa l’intervista fatta, ad esempio, allo psicologo esperto in sessuologia Fabrizio Quattrini sugli Adult Baby.
Nello stesso programma, inoltre, è stato anche interessante assistere al confronto effettuato tra le gravi dichiarazioni a favore di audience dello psichiatra Morelli (“In ogni donna c’è una prostituta”) con il punto di vista di altre due colleghe, che hanno offerto un punto di vista pacato e scientificamente e deontologicamente fondato, circa il fenomeno delle ragazze che denunciano molestatori e abusanti e circa le relazione delle donne col proprio corpo nell’educazione.
Questo fa bene alla psicologia, fa bene a noi, fa bene al pubblico, ai pazienti a tutti.
Talvolta però il rischio di giocare con la responsabilità (o potere) che ci deriva dall’aver fatto delle dinamiche relazionali, della capacità di fare diagnosi e offrire spiegazioni che liberino nuovi significati il nostro oggetto di studi e la nostra professione, è troppo alto (vedi gli articoli 3-4-6-7-11-12-22-25-28-39 Codice Deontologico degli Psicologi).
Un conto è offrire un parere circa alcune dinamiche relazionali (intra e extra personali) o patologie, infatti, un conto è entrare nel merito con atteggiamenti al limite o oltre il limite del Codice Deontologico.
Fare diagnosi, per esempio richiede una serie di condizioni: la prima è che mi venga chiesta dal soggetto stesso o da un’autorità giudiziaria, la seconda è che io per farla utilizzi mezzi e strumenti propri della mia professionalità, la terza, quella certamente più avvincente e per la quale sceglierei di fare questo mestiere altri milioni di volte, è la relazione.
Quando mi viene chiesta una diagnosi, io parlo con le persone, faccio anche test, ma faccio anamnesi, entro in relazione e, con gli strumenti che ho maturato in lunghi anni di training, espleto il compito tanto delicato di dare nome ad una condizione. Laddove questo però sia necessario. Perché tutti noi sappiamo i limiti derivanti dal fare diagnosi.
Non mi è mai capitato di vedere in TV un oncologo che, con l’autorevolezza della propria scienza, facesse una diagnosi attraverso una serie di informazioni derivanti da altri (giornalisti, vicini di casa intervistati, racconti delle maestre delle elementari).
Perché la psicologia abiura al fatto di essere scienza?
Perché come psicologi nel leggere alcune dinamiche non ci rendiamo conto che lo strumento televisivo manca dell’aspetto che più caratterizza il nostro lavoro: la circolarità della comunicazione?
Dal mio punto di vista non resta che ripensare la nostra professionalità con sguardo limpido, integrando ciò che siamo con ciò che sappiamo per offrire a tutti quel servizio pulito derivante dalla responsabilità di essere psicologi.
Ciao, mi chiamo Francesca di Sipio e sono l'ideatrice di questo portale web. Sono una psicologa clinica, psicoterapeuta, analista-transazionale ad approccio integrato, psicologa dello sport. Il mio studio è sul territorio di Chieti-Pescara. Mi trovi sui social, sulla mail ma soprattutto al 3477504713
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