Ciò che guarda la gestazione e il periodo perinatale introduce la mamma, il papà e la famiglia in un momento particolare dell’arco di vita.
Quando la gravidanza è desiderata e attesa.
Quando non lo è.
Quando va tutto bene.
Quando le cose non procedono come dovrebbero.
Quando hai solo 16 anni.
Quando ne hai 53 e quel ritardo lo attribuivi ai primi accenni di menopausa.
Quando hai già altri figli.
Quando non ne hai.
Quando sei in una relazione stabile.
Quando non lo sei.
Quando l’attesa per te è diversa, perchè adotterai.
Ecco tutto questo ci introduce all’interno di un periodo la cui gestione impatterà sullo sviluppo della nuova vita.
Infatti possiamo parlare dell’esistenza, in termini berniani, di un Io pre-natale o Io Fetale. Il piccolo feto ha già una propria identità genetica, biologica, fisiologica e anche psicologica.
È la stessa Maria Teresa Romanini che ci dice in un suo articolo a questo link:
D’altronde da lungo tempo sulla base di segni comportamentali inconfondibili è stata dimostrata la presenza nel feto, fin dal IV/V mese di vita, di nuclei protomentali differenti tra loro: uno più specificamente di apprendimento cognitivo (intelligenza senso-motoria), e cioè A2, e uno reattivo in affettività generalizzata, e cioè B2.
Le ricerche in questo senso hanno dimostrato infatti che il feto al IV/V mese di vita reagisce a improvvisi rumori mai uditi – da lui, non dalla madre che se lo aspetta, come avviene ad esempio quando costei entra in un ambiente rumoroso – dapprima con reazioni generalizzate (aumento del battito cardiaco e della pressione, movimenti degli arti) che sembrano ascrivibili a paura o per lo meno a sorpresa e in seguito, dopo una seconda o terza esposizione al rumore improvviso, il feto dimostra di «conoscere la situazione», senza più reagire a essa con mutazioni motorico-affettive.
Allora possiamo immaginare il grembo e come un’incubatrice relazionale, in cui attraverso la placenta vengono veicolate le emozioni.
Di tutto ciò non abbiamo memoria esplicita, certamente ne abbiamo una implicita. Ovvero resta traccia in noi di ciò che ha riguardato quel periodo di vita, quello dal feto fino ai 4 o 5 anni.
Qualcuno penserà che per lui non è così, perché non ricorda nulla.
In verità il ricordo, come siamo abituati a pensarlo, ha bisogno delle parole per essere immagazzinato, pertanto fino a che non padroneggiamo le parole, ricordiamo con il corpo, con la sua chimica.
Per esempio abbiamo una predisposizione naturale ad alcune emozioni e meno ad altre.
Tutto questo non ci rende determinati. Dalla nascita in poi ciascun adulto significativo potrà consegnarci nuove esperienze e nuove emozioni su cui muovere i nostri passi.
Capita pertanto che le mamme o i papà in attesa che io seguo in terapia rivivano momenti delicati dell’infanzia, che sentano in modo diverso, che si mettano in relazione con i propri genitori da un punto di vista nuovo, che inizino a sognare in modi nuovi.
Prendersi cura di sè e della vita che si sta aspettando rappresenta, allora, una risorsa importante per tracciare nuovi sentieri su cui aprirsi alla vita.
You must be logged in to post a comment Login