“Il movimento è la “prima manifestazione vitale dell’individuo. Già evidenziabile nella vita uterina, e prima espressione di cui l’individuo si serve per entrare in contatto con il mondo nella forma della risposta più o meno determinata dall’ambiente (riflesso) o nella forma dell’intervento sull’ambiente (azione).”*
Lo sviluppo delle capacità motorie in una persona può essere classificabile in senso:
- neuromotorio, che tiene conto dell’influenza della risposta neurone sul movimento;
- psicomotorio, che in senso piagettiano tiene conto dell’assimilazione di nuovi schemi e dell’accomodamento degli schemi pre-esistenti;
- cognitivo, che valuta la relazione r tra la percezione e gli aspetti di cinestesia nei nostri schemi mentali;
- espressivo, che legge il movimento che forma di comunicazione di un bisogno o di un’emozione.
Lo sviluppo psicomotorio è massimo nei primi tre anni di vita, in cui si assiste via via all’acquisizione di abilità sempre più evolute nel bambino. Il piccolo infatti passa dai movimenti involontari a quelli volontari, dal gattonamento alla deambulazione fino ad arrivare alla corsa e al salto, solo per citarne alcuni.
Nel resto dell’infanzia e dell’adolescenza la capacità di apprendere nuovi movimenti e di imparare la coordinazione si affina sempre di più, sia per quanto riguarda il movimento grosso sia per quello fine.
Una delle ultime abilità che si acquisiscono sia in senso cognitivo sia in senso emotivo è la capacità di rappresentarsi un movimento come schema generale, dall’alto: penso alla tattica e alla comunicazione degli schemi.
Per questo imparare come comunicarli, anche se precocemente (9-10 anni), può rappresentare una sfida avvincente per un allenatore.
I fattori che influenzano l’acquisizione di nuove capacità motorie sono sia legate alla genetica sia legate all’ambiente.
Infatti l’apprendimento motorio oltre che essere influenzato dalla percezione, vede coinvolte altri aspetti, quali dell’attenzione, della motivazione, delle qualità personologiche, ambientali e sociali.
In linea di massima, come psicologa dello sport, mi sento di dire che un allenatore è importante che abbia in mente la peculiarità del suo singolo allievo, sia che esso abbia 4 anni sia che ne abbia 80.
Quali qualità? Come la persona che a te si affida per praticare uno sport si relaziona con te, come si relaziona con i pari, quali sono i canali comunicativi che preferisce: ascoltarti? Guardarti? O fare per poi imparare?
E’ importante conoscere le caratteristiche della fase evolutiva che a te viene affidata: allenare in 12enne è diverso che allenare un 40enne.
Inoltre è importante comprendere come la persona si pensa nel gruppo, come reagisce allo stress e quali qualità è in grado di mettere a disposizione della disciplina e della squadra.
Il compito di allenare è complesso e avvincente allo stesso tempo: richiede ascolto, osservazione, conoscenza di sè, oltre che profonda conoscenza degli aspetti tecnici che riguardano la disciplina.
Ammiro molto chi vuole fare dell’arte di allenare un lavoro pensato e sentito.
* U. Galimberti, Le garantire di psicologia, Garzanti.
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