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Con l’evento Covid-19 la nostra società è tornata in modo più profondo a interrogarsi sulla vita e sulla morte, in quella che non solo è dialettica, ma che è la necessità di un’integrazione profonda di tali aspetti dentro di noi.
L’elaborazione del lutto si fa più dolorosa, perché i defunti, se in ospedale, ci lasciano lontani dal nostro affetto, se invece sono nelle nostre case nemmeno ad essi non possiamo rendere il giusto omaggio, il giusto culto.
Questa condizione è una delle immagini più forti del periodo duro che stiamo vivendo.
Il culto dei morti appartiene alla nostra cultura, riguarda forse prima ancora che la nostra psicologia, la nostra antropologia e la nostra spiritualità. Infatti sulla base dell’onore dato ai morti si è da sempre misurata la grandezza di una civiltà.
Dagli Egizi e dai Greci, arrivando ai Latini e alla tradizione, quella nostra, giudaico-cristiana.
Questa condizione può “ritardare” l’elaborazione aggiungendo dolore ai suoi vari passaggi che sono, secondo Kubler Ross: la negazione ovvero il tentativo di negare la perdita, la rabbia, che può essere autodiretta in senso di colpa o eterodiretta verso le istituzioni o verso qualche “candidato responsabile”, la negoziazione, ovvero quello scendere a patti con la dura realtà e cercare di trarre qualcosa, ad esempio un insegnamento, la fase depressiva legata tristezza e al dolore per la perdita e infine l’accettazione, che io preferisco chiamare di più accoglienza, ovvero quel momento delicatissimo in cui ci si rappacifica con i fatti, con se stessi, col mondo e da cui si riparte per tornare ad una situazione di vita serena.
La morte, va però specificato, non può essere un fatto privato come non lo sono molti altri aspetti della vita: per questo motivo esistono riti che ne sanciscono l’importanza, siano essi liturgici o civili, la condivisione di questi aspetti all’interno di una comunità offre supporto, sostegno e senso di appartenenza, aspetti di cui oggi abbiamo molto bisogno.
Se i sentimenti di impotenza o dolore o rabbia profondi persistono bisogna chiedere aiuto, perché un sopporto è fondamentale in questi momenti, affinché il dolore possa essere comunicato e condiviso.
Vorrei aggiungere che è molto auspicabile in queste condizioni compiere in modo individuale un “rito”, una sorta di congedo privato con un ricordo o un oggetto che possano rappresentare l’essenza del rapporto con quella persona che non c’è più almeno nella carne. Nell’attesa di quando ad essi potremmo offrire in modo pubblico il nostro omaggio e trovare finalmente anche noi il riposo dal dolore.
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