Lo scorso venerdì ho avuto il piacere e l’onore di prendere parte ad un convegno organizzato dall’Associazione di Promozione Sociale Parresia e dal consorzio Futura.
Abbiamo trattato del delicatissimo tema delle diagnosi e -soprattutto- dell’individuazione precoce di Bisogni Educativi Speciali.
Mi ha preceduta la dott.ssa D’Ambrosio, neurospichiatra infantile della Asl di L’Aquila che ha illustrato, ad un platea di docenti e dirigenti scolastici, come i quadri nelle classi si vanno complessificando e non perchè esistono più criteri diagnostici.
Semplicemente il criterio ci permette di chiamare le situazioni con un nome e di offrire possibilità, scelte, strategie.
“Non è la definizione che complessifica la realtà – ha tuonato la neurospichiatra- è la realtà che è complessa”.
Mi trovo completamente d’accordo con questa visione.
Nel mio spazio invece ho trattato di Analisi trasazionale e relazione, aspetti che trovano ampio spazio qui su questo blog, ma anche e soprattutto di etica.
Per farlo mi sono avvalsa del manuoale “Psicoterapia come etica”.
ETICA IN PSICOLOGIA è UN CONCETTO DIVERSO DALLA SEMPLICE MAL PRACTICE.
Il “Primum non nocere” ha declinazioni importanti per chi è in una relazione di aiuto, in particolare come psicologo e clinico.
Cosa significa non nuocere?
La domanda epistemologica sulla realtà degli anni ’90 oggi è sostituita da una domanda ontologica.
La responsabilità in senso post-moderno è da intendersi come responsabilità epistemica, non più il cosa circa la realtà, bensì il come della realtà.
Che prevede di concepire noi stessi come Genitore, Adulto e Bambino in modo integrato, inclusivo e di sentire che l’altro è un insieme di questi tre stati dell’Io e averli presenti nella relazione.
Sentire e accogliere che io sono ok, io vado bene e che l’altro è ok, va bene com’è.
Ridistribuire le nostre responsabilità e con esse i confini.
Ogni azione del mondo adulto, ed in particolar modo di chi è dentro una relazione di aiuto, è un’azione di ospitalità.
“Nessun organismo è osservatore di per sé, al di fuori dei contesti cui partecipa, indipendentemente e prima con l’osservato.”
Davide Zoletto
Con le nostre modalità descrittive partecipiamo alla danza processuale in cui in cui sviluppiamo le definizioni, le diagnosi, in cui interpretiamo i sintomi .
Una diagnosi ben fatta si esprime nella relazione, in questo caso, con tutti gli attori in campo:
scuola, famiglia, ragazzo, psicologo.
L’atto di responsabilità di dare una etichetta può avere due esiti: uno positivo e l’altro drammatico.
Positivo se, sulla base di evidenze empiriche, sulla base delle nostre teorie di riferimento e dei criteri diagnostici precisi, essa diventa la possibilità di dialogare (e in seconda battuta intervenire) su una condizione, su un problema.
Viceversa essa può diventare uno stigma, cavalcare le nostre paura, diventare una posizione granitica.
Le nostre azioni cliniche sono consapevoli, quando sappiamo da cosa sono determinate, ma anche cosa determinano.
Siamo responsabili della creazione di una comunità in cui l’opposto di necessità non sia possibilità, bensì scelta.
Il nostro rapporto con il mondo prima ancora che essere un rapporto con le cose è un rapporto co l’altro
Il nostro approccio è etico se ha un fine teleologico, ovvero se abbiamo la lungimiranza di guardare alle conseguenze del nostro denominare, del nostro accompagnare.
Nella mia pratica clinica ho visto persone in difficoltà per diagnosi fatte in modo grossolano durante l’infanzia.
Allo stesso tempo ho visto persone darsi pace solo dopo aver ricevuto una diagnosi come risposta a comportamenti, vissuti e pensieri diversi rispetto alla norma.
Fa’ agli altri quello che vorresti fosse fatto a te
questo è il corretto approccio etico, questo ci insegna la filosofia post moderna, un Vita Tua Vita Mea che risuona in ciascuno di noi, perché si conosca l’importanza delle parole che curano o che perlomeno allevino la sofferenza.
Quale strategia, allora?
Quella di offrire permessi, quella di non essere impliciti, quella di dare con le regole anche le informazioni,
quella di non svalutare, quella di accogliere l’okness altrui, mi ripeto, quella di essere espliciti, quella di chiedere una informazione in più o una carezza.
You must be logged in to post a comment Login