Cos’è l’autoefficacia?
“È l’insieme delle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati.” (Bandura, 2000).
Essa non è la semplice fiducia in se stessi che anima il nostro operare. L’autoefficacia è la cifra della nostra capacità di organizzare pensieri, emozioni e comportamenti, in modo finalizzato a seconda del compito che intendiamo porci.
È la credenza realistica sulla nostra capacità di essere agenti attivi nella realtà.
Implica una serie di valutazioni cognitive, una certa comodità nello stare con le nostre emozioni, insieme con tutte le esperienze che abbiamo fatto e che costituiscono il nostro bagaglio che ci portiamo appresso.
“L’autoefficacia, non è dunque una misura delle competenze possedute, ma la credenza che la persona ha in ciò che è in grado di fare in diverse situazioni con le capacità che possiede” (Borgogni,2001).
È facile pertanto cogliere come in un processo virtuoso un buon senso di autoefficacia produrrà una serie di effetti positivi sulla realtà e su noi stessi che andranno a rinforzare quel nostro modo di stare dentro l’esperienza.
Collegato a questo concetto è quello di autostima, o, come preferisco chiamarlo io, “amore di sè“, che si esplica nel modo in cui tratto me stesso, in cui mi parlo, in cui mi offro considerazione e rassicurazione, cure e ciò di cui ho bisogno.
Ecco un altro concetto legato alla self-efficancy è quello del Locus of control (centro di controllo), che può essere esterno o interno. Quando attribuiamo la riuscita di una nostra azione unicamente a ciò che ci mettiamo in termini di impegno e risorse, possiamo dire che esso è interno, viceversa, quando attribuiamo la riuscita di un’azione a fattori esterni a noi (gli altri, la fortuna, il destino), esso è, appunto, esterno.
Come dice Lorna Benjamin noi sappiamo che la realtà è il nostro migliore amico e che talvolta, per quanto i nostri sforzi e il nostro impegno possano essere massimi, non otteniamo il risultato sperato, perché intervengono molti fattori esterni.
Penso ad un atleta che può preparasi al meglio, ma ci sono aspetti della gara che sfuggono per loro stessa costituzione il suo controllo.
Altre volte abbandonarsi al fato, al destino, al fatto che i risultati non dipendono da noi ci pone in una posizione di passività che poco aiuta a sentirsi parti attive del nostro mondo.
Un corretto equilibrio tra queste due posizioni genera una prospettiva di realtà pacificante, in cui sento di potermi dare il potere e con esso la responsabilità di scegliere e agire per me.
Per allenare la nostra autoefficacia allora possono essere utili alcuni passaggi:
- parlarsi in modo incoraggiante;
- pensare il compito che ci diamo per tappe raggiungibili;
- mettere i nostri obiettivi in senso positivo (per esempio “Voglio mangiare sano”, anziché “Non devo mangiare schifezze”);
- mettere il pronome personale “Io” nella frase anziché il “Tu” o il “Voi” (per esempio “Io posso parlare con il mio capo, per far presente alcuni aspetti del lavoro che vanno migliorati”, piuttosto che aspettare che sia lui a convocarci);
- pensare in modo semplice, scomponendo le complessità, ma allo stesso tempo tenendole in considerazione;
- darsi il permesso di avere successo;
- darsi il permesso di fallire.
Ecco gli ultimi due punti sono straordinariamente importanti. Non è facile avere successo. Non è facile accogliere l’idea di fallire, perché entrambi questi aspetti della vita evocano immagini arcaiche di noi stessi, copioni che ci siamo costruiti da piccoli, in base ai messaggi che ci hanno inviato i nostri genitori , i nostri insegnanti, i nostri educatori. Accogliersi con un’immagine nuova o diversa implica quel coraggio di mettersi dalla propria parte e di godere di sè in maniera libera e indipendente rispetto alla performace stessa.
Ecco, quando capiremo che un risultato non definisce la nostra persona, ma solo la nostra performace, avremmo compiuto un passo liberante verso noi stessi, allora sì che con naturalezza sapremo affrontare le prove con le gioie e le frustrazioni che ci rendono vivi e ci fanno vibrare.
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