L’obiettivo di questo articolo è quello di parlare un po’ di un aspetto della psicologia, quella dello sport, che è giovane, in crescita e che offre possibili scenari occupazionali nel variegato mondo legato a questa scienza.
Per diventare uno Psicologo dello Sport sono necessari:
- laurea Magistrale (3 +2) in Psicologia;
- 1000 ore di tirocinio;
- esame di abilitazione alla professione di psicologo;
- iscrizione all’Albo;
- master o corso di alta specializzazione riconosciuti in Psicologia dello Sport.
Questo significa che uno psicologo dello sport ha lavorato almeno 6 anni sulla propria formazione.
Ed è giusto così, perché le responsabilità legate a questa professione sono importanti.
La Psicologia dello Sport studia e lavora sui diversi processi cognitivi, emotivi e comportamentali legati all’attività sportiva (singoli atleti, squadre, allenatori, società sportive, dirigenti, staff, piccoli atleti, famiglie).
Proprio in virtù del fatto che l’utenza può essere così variegata, è importante aver approfondito in maniera particolare gli aspetti legati alla cognizione e percezione, all’età evolutiva, alla clinica e alle dinamiche di gruppo e comunità e alla psicologia sociale, delle organizzazioni e dell’arco di vita (penso al fine carriera di un atleta!).
Nel mio personale modo di lavorare sia come terapeuta, sia come psicologa dello sport, offro molto spazio alla relazione.
Innanzitutto quella che si instaura tra me e le persone con cui di volta in volta mi trovo in contatto. Questo mi permette di lavorare sui fattori intrapsichici e interpersonali legati alla prestazione sportiva.
I fattori intrapsichici riguardano il modo con cui l’atleta tratta se stesso: come si parla, quali emozioni prova, come si sta vicino, come si critica.
Tutti questi aspetti investono in modo importante la motivazione all’attività sportiva.
I fattori interpersonali, invece, riguardano la gestione delle relazioni. Anche nei cosiddetti sport individuali essi sono importanti: c’è sempre uno staff medico, un allenatore, un dirigente, un fisioterapista con cui fare squadra.
Ovviamente l’interpersonalità riguarda in modo ancora più evidente gli sport di squadra, in cui oltre a tutte le relazioni possibili (tra singoli atleti, tra atleti e mister, tra mister e società ecc. ecc.) esiste la relazione di ogni componente con la squadra stessa, che è un nuovo elemento che si genera ad ogni singolo gesto sportivo.
Ecco, in tal senso il fatto di essermi prima formata come psicologa clinica e psicoterapeuta influenza molto il mio modo di interpretare anche quest’altra area della mia professione.
Io sono convinta che partendo dalle relazioni si lavora con l’uomo, perché dalle relazioni noi siamo nati, in esse si sono intessute tutte le nostre capacità.
Io sono convita che per fare un buon lavoro con uno sportivo bisogna andare oltre l’atleta e il suo gesto, fino a toccare l’uomo.
L’uomo è interamente uomo soltanto quando gioca.
Friederich Schiller, filosofo.
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